Una chiesa. Si ha l’impressione di entrare in una chiesa quando si accede alla prima sala della mostra: la luce è soffusa, come i rumori, e intorno regna un’atmosfera antica e religiosa; la luce non è necessaria quando la mostra è dedicata a Il Sole delle Arti. Questo è il titolo della mostra che intende presentare la figura di Raffaello come una stella, un Sole capace di orientare ed ispirare una galassia di “arti congeneri” (Vasari).
Nella cornice secentesca della Reggia di Venaria, quindi, non soltanto troviamo esposte le opere di Raffaello, ma anche tutte le arti applicate (incisioni, maioliche, piatti, arazzi ecc.) che costituiscono la scia di quella grande cometa nata ad Urbino. Scultori, mosaicisti, ceramisti hanno interpretato i disegni e i cartoni del Sanzio applicandoli alle loro specifiche arti decorative, diffondendo così lo stile e i modelli raffaelleschi; modelli a cui tutti hanno guardato (e guardano tuttora) come soltanto si può guardare ad un Sole.
Ma chi è stato il Sole per il giovane Urbinate? Chi gli ha insegnato a diventare Raffaello? La mostra risponde anche a questa domanda, svelandoci la fonte più autentica del Sanzio, vale a dire quei maestri che gli hanno tramandato – più o meno direttamente – tecniche pittoriche e stile. Tra i maestri più determinanti per la crescita (artistica ed umana) di Raffaello troviamo ovviamente suo padre, Giovanni Santi, che ci accompagna (come solo un padre sa fare) nelle prime sale; poi guardiamo a Pinturicchio, con la sua Madonna della Pace, nella quale riusciamo già a scorgere quella gentilezza dei lineamenti che farà grande Raffaello. Nella stessa sala è esposto anche Luca Signorelli, autore della Crocifissione, e Perugino. Vicino alla sua Santa Maria Maddalena rimaniamo colpiti dalla Predella con Storie della vita di Maria, e in particolare dalla tavoletta della Natività della Madonna, in cui possiamo vedere all’opera la mano appena quattordicenne di Raffaello durante l’apprendistato dal Perugino.
Perugino Raffaello
E la tavoletta del Matrimonio non può non ricordarci la sfida che poi avverrà fra il maestro Perugino e l’allievo Raffaello nel dipingere lo Sposalizio della Vergine.
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Più avanti rincontriamo Raffaello e stentiamo quasi a riconoscerlo, tanto è cresciuto: lo troviamo impegnato nei ritratti di principi e dame, nei quali si afferma la personalità matura del giovane artista, sempre meno ancorato ai suoi maestri e ormai pronto a “sfidare” persino Leonardo. E’ questa la sensazione che si prova guardando negli occhi la Muta, donna tanto gentile ed enigmatica quanto la Gioconda.
“Ella guarda davanti a sé, sospesa tra un vago fantasticare ed il ricordo ancora molto preciso di qualche grande sciagura” scriveva dopo averla vista uno storico dell’arte come Eugène Müntz.
Ma dolcezza ed inquietudine abitano anzitutto nel volto e nello sguardo di Francesco Maria Della Rovere (Ritratto di giovane con la mela): i suoi occhi sembrano aver pianto da poco e da sempre, lo sguardo pare fatto di acqua e di malinconia, le lacrime hanno scolpito di delicatezza quei lineamenti così fragili, così femminili; il suo pallore quasi lo avvicina all’infanzia o a una dolce e lenta malattia.
Un tale abbraccio fra delicatezza e inquietudine potremo ritrovarlo soltanto nel volto di Buster Keaton: un volto che vorrebbe essere di marmo ma resta di porcellana.
“Sono come un bimbo sospeso sull’abisso. Egli è rassicurato quando la madre con lieve, affettuosa forza lo stringe: sotto di lui è ancora il baratro, tra la sua guancia e il petto di lei pungono spine. Egli si sente tenuto, sostenuto, ed è consolato”. Ad aver scritto queste parole è Rainer Maria Rilke, ma è ciò che si prova davanti alle Madonne di Raffaello, e in particolare di fronte alla Madonna del Granduca.
culture.biografieonline.itQui, il Bambino sembra veramente “tenuto, sostenuto” con “affettuosa forza” dalle mani della Vergine, mentre il buio intorno alle figure è sempre più affamato. Lo sguardo di Maria scivola a terra, o forse è andato lontano, tanto distante da comprendere lo scopo e la fine di quel bambino. I due corpi si tengono stretti, dialogano in un’armonia di movimenti mentre il Bambino rivolge il suo sguardo intenso e innocente verso il nostro, che non resiste e si abbassa, vinto e colpevole.
Se la sindrome di Stendhal non ci ha già fermato il passo, possiamo ancora incontrare la Visione di Ezechiele e, infine, l’Estasi di Santa Cecilia. Un gruppo di angeli squarcia le nuvole, si affaccia sulla Terra e comincia a cantare: l’anima della Santa, patrona della musica, viene sfiorata da quell’armonia celestiale e rapita da Dio.
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Le mani della donna lasciano cadere ogni senso ed ogni strumento: la musica degli uomini si arrende e si inginocchia di fronte alla musica del Cielo. Cade ogni cosa. E caddi come corpo morto cade.
“Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire con lui”.
Questo è ciò che un suo amico poeta, Il Tebaldeo, scrisse sulla sua tomba. Il pittore di Urbino morì a soli 37 anni per “eccessi amorosi”: forse è proprio un “eccesso d’amore” a concepire un artista. Si racconta che il giorno della morte la terra sussultò e il cielo cambiò umore d’improvviso, quasi la natura temesse davvero di morire con Raffaello.