Sono passati esattamente 33 anni da quel 10 aprile 1991 quando nella rada di Livorno, a sole due miglia e mezzo dal porto, il traghetto Moby Prince, appena partito e diretto ad Olbia, entrò in collisione con la petroliera AGIP Abruzzo, ancorata nella rada, contenente 82.000 tonnellate di greggio crudo che, fuoriusciti dalla squarcio nella fiancata, scatenarono un terribile incendio.
Il disastro del Moby Prince costò la vita a 140 persone, tutti i passeggeri e l’equipaggio del traghetto ad esclusione del mozzo Alessio Bertrand che si salvò gettandosi in mare. Le 30 persone di equipaggio a bordo della petroliera uscirono invece illese da quella che è considerata come la più grave tragedia della marineria italiana in tempo di pace.
In 33 anni, per scoprire i motivi e le responsabilità dietro una tragedia di tale portata, si sono svolti processi e sono state istituite tre commissioni d’inchiesta parlamentari ,ma ancora noi è stata fatta piena luce sulle cause e le responsabilità dietro l’immane disastro.
Tra i temi discussi negli anni intorno al disastro del Moby Prince ci sono ovviamente le cause dell’impatto, quella particolare manovra effettuata dal traghetto che ha poi causato l’incidente, ma anche il colpevole ritardo nei soccorsi. L’impatto avvenne intorno alle 22.25, ma il traghetto fu individuato solo alle 23.35 e la prima persona che è a salita a bordo dopo la collisione, il marinaio Gianni Veneruso, lo ha fatto intorno alle 02.00 della notte.
Disastro del Moby Prince: i dubbi sul processo e le due Commissioni
Nel processo aperto nel novembre del 1995 furono imputati un ufficiale del AGIP Abruzzo e 3 responsabili della Capitaneria di porto di Livorno. Il primo accusato di aver ancorato la petroliera nel posto sbagliato, cioè nel “cono” di uscita dal porto di Livorno, gli ufficiali, invece, per aver condotto i soccorsi con lentezza e inefficienza. Furono lasciati invece fuori dal processo alcune figure apparentemente importanti come il comandante del AGIP Abruzzo, Renato Superina, il comandante della Capitaneria di Porto, Sergio Albanese, e l’armatore della MOBY Achille Onorato.
Durante il processo venne stabilito che un improvviso e fitto banco di nebbia aveva ostruito la visuale al comandante del traghetto Ugo Chessa che, a causa di questo, non aveva potuto scorgere l’enorme petroliera davanti a sé. La nebbia avrebbe anche influito sul grave ritardo dei soccorsi, ma venne anche specificato che il devastante incendio scoppiato sul traghetto avrebbe ucciso tutti i presenti «in meno di mezz’ora» e quindi non ci sarebbe stato comunque possibilità per nessuno di salvarsi.
Le responsabilità vengono quindi tutte addossate a persone purtroppo decedute nell’incidente, mentre sono esclusi dal processo importanti figure con responsabilità nella vicenda e i reati contestati sembrano minori rispetto all’ampiezza dell’evento. Il processo si concluse nel 1999 senza definire alcun colpevole, alcuni reati caddero in prescrizioni altri imputati furono assolti.
Nelle motivazioni del processo sul disastro del Moby Prince si legge anche che la Capitaneria di Porto, che ha svolto le prime indagini sull’accaduto, ha avuto potere di influire sul percorso giudiziario e ciò lascia pensare per logica che se tra i responsabili del disastro ci sono stati uomini che lavoravano per la stessa Capitaneria anch’essi hanno avuto modo di influire sulle successive indagini. Ciò spiegherebbe molto riguardo l’esclusione dal processo delle figure di maggior rilievo e responsabilità e sulle ipotesi avanzate riguardo la nebbia e l’inutilità dei soccorsi le quali saranno poi infatti totalmente smentite nel corso degli anni successivi.
I familiari delle vittime, unitisi già nel ’95 in due associazioni denominate «10 Aprile-Familiari Vittime Moby Prince ONLUS» e «Associazione 140» , per anni hanno chiesto una nuova indagine che potesse fare maggiore chiarezza sull’accaduto e nel 2015 e poi nel 2021, sono state istituite due commissioni parlamentari con il compito di svolgere ulteriori indagini che hanno smentito molte delle conclusioni del processo.
L’incidente non avvenne per colpa della nebbia o per l’imprudenza di un comandante, ma per un improvviso cambio di rotta effettuato dal traghetto «per colpa della presenza di una terza nave, comparsa improvvisamente davanti al traghetto». Riguardo i soccorsi le due commissioni sono d’accordo nel denunciare una «sostanziale assenza di intervento» che invece «avrebbe potuto salvare diverse vite». Inoltre la petroliera AGIP Abruzzo, la cui posizione fu riportata non correttamente nel corso delle indagini, si trovava ancorata in una zona di divieto.
La seconda commissione parlamentare ha concluso il proprio lavoro con la fine della legislatura nel 2022, ma con lo scopo di fare definitiva luce sul caso nell’ottobre scorso è stata istituita una terza commissione parlamentare che, come sottolineato da Luchino Chessa, figlio del comandante del Moby Prince Ugo, e Nicola Rosetti
«possa completare il lavoro fatto fin qui nelle scorse legislature e mettere così la parola fine su questa tragica vicenda».
Il disastro del Moby Prince è una ferita ancora aperta per l’intero paese e per la città di Livorno che anche quest’anno si ritroverà nei pressi del porto per eventi e manifestazioni in ricordo delle vittime e per chiedere ancora, dopo 33 anni, verità e giustizia.