Ogni anno milioni di persone vengono infettate da virus, da quelli più comuni, come influenza e raffreddore, a quelli più rari, come Polio, Ebola… Nella maggior parte dei casi vengono espulsi dal corpo grazie al nostro sistema immunitario, ma in alcuni casi, può succedere che il virus si mescoli con il genoma dell’ospite, diventando parte del patrimonio genetico di quest’ultimo, che lo passa alle generazioni successive.
Questo è il caso dei retrovirus.
Questo è il caso dell’Hiv.
L’Hiv è il virus dell’immunodeficienza umana, è un retrovirus, in quanto possiede come patrimonio genetico un filamento di Rna a singola elica. L’Hiv attacca alcune cellule del sistema immunitario, principalmente i linfociti CD4, che sono importantissimi per la risposta immunitaria, e hanno per tanto il compito di difenderci da agenti esterni potenzialmente pericolosi. Facendo ciò, il virus indebolisce il nostro sistema immunitario, fino ad annullare la risposta contro virus, batteri, protozoi, funghi, e qualsiasi altro microrganismo estraneo. La distruzione completa del nostro sistema immunitario causa una sidrome, conosciuta dal mondo intero come AIDS.
Ci sono meccanismi naturali della vita a cui la scienza ancora non sa dare risposta.
Non esiste terapia, che possa sradicare nell’uomo l’infezione causata dal virus dell’immunodeficienza acquisita; il virus s’inserisce nel Dna della nostra cellula in modo permanente.
Esistono malattie che continuano a lasciare poche speranze di vita alle persone.
Fortunatamente, grazie alla ricerca scientifica, molte di queste, che un tempo erano mortali, oggi diventano “croniche”, e con le giuste terapie ci si può imparare a convivere.
Quando si incominciò a parlare di AIDS, i media vi si buttarono a capofitto, come spesso accade ancora oggi, definendola senza alcun dubbio “la peste del secolo”. Questo avveniva agli inizi degli anni 80, quando si registrò un improvviso aumento, tra le persone omosessuali attive, dello stesso tipo di polmonite pneumocistscarinii, e di un raro tumore dei vasi sanguigni, il sarcoma di kaposi.
Non erano ancora chiare le modalità di trasmissione e di contagio, ma l’ipotesi più accreditata fu quella di “gettare” la patologia addosso agli omosessuali, i così definiti “diversi”.
Il messaggio non tardò ad arrivare all’opinione pubblica, anche grazie ai titoli delle testate giornalistiche, che definivano l’AIDS il nuovo male degli omosessuali.
Nel 1985 moriva l’attore statunitense Rock Hudson, primo personaggio famoso a confessare pubblicamente di essere malato di AIDS, dimostrando al mondo intero una buona dose di umanità, che non fa di certo male.
Si entrava così nella piena Apocalisse mondiale. La progressione della malattia in quegli anni era impressionante, il terrore cresceva esponenzialmente, almeno quanto la “paura del diverso”, e la conseguente discriminazione delle persone affette dal virus. La speranza di far sopravvivere la specie umana a questa calamità devastante, era solo una, e si faceva chiamare comunemente preservativo. Per la diffusione capillare del vitale strumento, vennero istituiti comitati, intraprese campagne pubblicitarie, nei licei, i sermoni sul corretto uso del preservativo, diventava comune più dell’inno nazionale.
Gli effetti della malattia? Di certo l’AIDS contribuì a redimere molti peccatori, ad illuminare d’immenso i moralisti, e ad emarginare ulteriormente gli omosessuali.
In un referendum istituito nel 1992 gli elettori del Colorado votarono a favore della discriminazione omosessuale. Non è di certo la prima volta, che la paura porta l’uomo a compiere gesti folli.
E non finisce qua. Verso la fine degli anni 80 nascono le prime società che “comprano” assicurazioni sulla vita dei malati; secondo tale politica, il paziente affetto dal virus dell’HIV, ha il vantaggio di potersi godere i soldi, almeno finchè morte non lo separi, mentre la società ci guadagna una fortuna sul suo decesso.
Ancora non ero nata, ma non mi riesce difficile credere a questo “business malato”, considerando la speculazione che si vede al giorno d’oggi sul cancro.
Inoltre, chi ha più di 35 anni, si ricorderà di certo gli allarmi lanciati dallo stesso Ministero della Salute, per informare sulla pericolosità di “atteggiamenti non propriamente morali”, in quanto questi potevano esporre la persona alla malattia. Per non parlare degli spot televisivi omofobi, che si trasmettevano in tutti i canali televisivi, dove un sieropositivo veniva identificato da una luminescente linea rosa, che si estendeva a macchia d’olio da individuo a individuo, partendo dal “drogato” chiuso in bagno, all’omosessuale.
Oggi, a oltre trent’anni di distanza, la situazione non è più la stessa; la malattia è tenuta sotto controllo, e l’aspettativa di vita è decisamente migliorata rispetto al passato. L’Hiv non ha cura, ma grazie a sofisticati nuovi farmaci, la patologia si è trasformata in malattia cronica, piuttosto che in una causa di morte inevitabile.
Non se ne parla quasi più, eppure l’AIDS è una malattia che continua ad uccidere, spesso silenziosamente. I dati ci dicono che dall’inizio dell’epidemia, più di 30 anni fa, si contano più di 80 milioni di persone contagiate, 40 milioni di morti, e nel mondo, almeno 35 milioni di persone, convivono con il virus, a volte senza esserne a conoscenza.
I numeri parlano chiaro, l’epidemia è tutt’altro che vinta, eppure la gente sembra essersene dimenticata.
Un fattore che non è cambiato affatto, rispetto agli anni 80, è proprio l’omofobia; il disprezzo, e il rigetto delle persone definite “diverse”, è ancora accecante nella comunità mondiale.
Oggi è la giornata mondiale contro l’AIDS, e il primo passo per sconfiggere la malattia è la conoscenza stessa. Chi conosce a fondo il nemico, corre un rischio minore di contrarre il virus, e di denigrare chi invece ne è affetto.
Ancora oggi, la speranza di far sopravvivere la specie umana a questa calamità devastante, è solo una, e si fa chiamare comunemente preservativo. Quindi, in onore della giornata mondiale contro l’Aids, dimentichiamoci dell’odio, e facciamo l’amore sicuro.
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