Un capannone di rifiuti giace abbandonato da 20 anni a Statte. Sono circa 3000 i fusti radioattivi ancora fermi nel comune in provincia di Taranto. Un altro evento che riporta alla mente il generale stato di abbandono di molti rifiuti radioattivi in tutto il nostro Paese.
Perché anche quei 3074 fusti radioattivi a Statte, paese vicino a Taranto, possano essere rimossi serviranno altri 3 milioni di euro in aggiunta alla spesa iniziale di 10 milioni. Il sito di 3840 metri quadrati pieno di scorie radioattive è sotto sequestro della Procura di Taranto sin dal 2000. Tra i fusti ancora giacenti se ne contano alcuni contaminati dal disastro nucleare di Chernobyl (dei cui danni si è già scritto qui).
I grovigli della macchina burocratica
I protagonisti della storia sono tre. Primo fra tutti il sindaco di Statte, Franco Andrioli. Secondi in successione sono, invece, Vera Corbelli e Demetrio Martino, rispettivamente prima e secondo al posto di commissario alla bonifica. I tre si arrabattano tra fallimenti e ritardi burocratici.
Il primo e ultimo fallimento definitivo è quello di Cemerad, la discarica che conta tonnellate di rifiuti radioattivi. In particolare, nel paese in provincia di Taranto, Ispra ha contato 16.500 fusti (anche se in seguito, a quanto riporta il sindaco, ne sono risultati “circa duemila in più”), di cui 3480 potenzialmente radioattivi.
Se il fallimento è uno solo, i ritardi non si contano più. Saltando cronologicamente dal sequestro del 2000 al 2015, incappiamo nella legge che avrebbe consentito due anni dopo di cominciare la bonifica. A quel punto, entra in gioco l’allora commissaria Vera Corbelli, alla quale si affidano i 10 milioni per procedere. Soldi che però ad oggi non bastano.
Nel luglio del 2020, contro ogni speranza del sindaco di Statte, la bonifica non è ancora completa. Scade, infatti, il mandato di Corbelli e, al suo posto, subentra Martino, prefetto di Taranto. Il sindaco Andrioli è ora in un limbo tra la difficoltà dovuta alle condizioni pandemiche e l’assenza di vigilanza nel sito.
Chiederò al prefetto di Taranto, Demetrio Martino, di occuparsi della questione.
Queste le sue parole negli ultimi giorni.
10+3: i milioni per rimuovere i fusti radioattivi vicini a Taranto
Andrioli sottolinea che dovrà essere ancora Sogin a rimuovere i rifiuti. La società che detiene l’incarico resta quella, anche perché altrimenti si finirebbe in un ulteriore slittamento di ogni lavoro utile (e nessuno vuole entrare in un’altra Ilva). La cifra necessaria però è aumentata di 3 milioni. Com’è successo?
Nel dicembre del 2019 si ricomincia a rimuovere i fusti radioattivi, nel marzo del 2020 si sospende a causa dell’emergenza di Coronavirus, per poi riprendere ad aprile dello stesso anno con la speranza di liberare finalmente l’enorme capannone del paese vicino a Taranto. Le criticità del sindaco di Statte, però, continuano perché per reinfustare i rifiuti e aumentare i trasporti servono altri soldi. 3 milioni in più. 13 milioni in tutto.
Comunque, i fusti più pericolosi dovrebbero essere già lontani. Il capannone vantava una grande varietà di rifiuti: alcuni provenienti da attività sanitarie, alcuni dotati di sorgenti radioattive come parafulmini, vetrino con uranio naturale, fili di Iridio e altro e, infine, i fusti contaminati dal disastro di Chernobyl. Nel 2017 tra questi sono stati rimossi 86 fusti, di cui 59 colpiti dall’evento del 1986.
Talenti italiani
L’Italia ha sicuramente un talento naturale per l’accumulo di rifiuti. L’ultima stima di Legambiente del 2019 parla di 31mila metri cubi di rifiuti radioattivi con 16 siti in otto regioni. Il nostro Paese ha, però, deciso di non investire nel nucleare e chiudere le centrali attive con il referendum del 1987.
Questo, tralasciando il fatto che solo la Francia conta 58 centrali nucleari, non esclude il problema dei rifiuti. Nei prossimi anni arriveranno altri fusti di rifiuti radioattivi e non è certo solo un problema di Taranto e dintorni. Tornerà, infatti, il combustibile esausto degli ex impianti nucleari italiani dopo il ritrattamento all’estero, così come si aggiungeranno i rifiuti dello smantellamento degli impianti ormai dismessi.
Fusti di rifiuti radioattivi si contano non solo vicino a Taranto, ma anche vicino a Vercelli, vicino a Latina, a Caserta e a Piacenza. Restano estremamente critici tutti gli ex siti nucleari a rischio idrogeologico e a rischio alluvioni. Caratteristiche che, nel 20esimo anniversario dall’esplosione della centrale di Fukushima, non possono far altro che rievocare le decine di pericoli e svantaggi dell’energia nucleare.
Antonia Ferri