Dieci anni e 28.000 morti dopo

3 ottobre 2013

 

È il decimo anniversario di quella tragica giornata, un decennio trascorso tra promesse infrante e un mare che continua a custodire segreti di dolore. Il 3 ottobre 2013, il Mediterraneo si è trasformato in un tragico palcoscenico, inghiottendo le speranze di 368 uomini, donne e bambini. Questa è la storia di un anniversario che nessuno avrebbe voluto celebrare, ma che continua a essere una ferita aperta nella coscienza collettiva.


È il decimo anniversario di quel tragico giorno, il 3 ottobre 2013, un giorno che rimarrà per sempre scolpito nella memoria collettiva di Lampedusa e di tutto il mondo. Dieci anni fa, il Mediterraneo diventò teatro di una delle più gravi tragedie legate alla migrazione umana: 368 uomini, donne e bambini persero la vita a pochi metri dalle coste della piccola isola italiana. Era una giornata che avrebbe dovuto segnare un punto di svolta, ma invece, Lampedusa continua a piangere vittime quasi ogni giorno.

La legge 45/2016 ha istituito il 3 ottobre come la “Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione“, un giorno per ricordare non solo coloro che persero la vita in quel naufragio, ma tutte le vittime dell’immigrazione e per promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà. Tuttavia, nonostante le promesse fatte allora, la situazione non è migliorata. L’Italia e l’Unione Europea hanno spesso latitato nel prendere misure decisive per evitare nuove tragedie.

Avevano promesso “mai più” mentre erano di fronte alle bare di quei 368 corpi senza vita. Avevano detto che si sarebbero occupati di quel grande cimitero d’acqua, ma il Mediterraneo ha continuato a inghiottire le vite di migliaia di persone. E ora, a dieci anni di distanza, sembra mancare quella rabbia e quella indignazione che ci avevano spinto a chiedere un cambiamento.

Invece di combattere chi costringe queste persone a fuggire, spesso si combatte chi tenta di raggiungere le coste in cerca di una vita migliore. Si arrestano i migranti in mare, ma chi li mette in pericolosi barchini rimane impunito e, spesso, identificati allo stesso modo di chi, invece, perde la vita tra le onde. Dieci anni sono trascorsi da quel tragico giorno, ma il dolore per le vittime dell’immigrazione sono ancora vivi. Le guerre, la miseria, la crisi climatica spingono molte persone a cercare rifugio altrove, ma la politica e l’informazione sembrano restare indifferenti.

Nonostante le molte parole pronunciate, poco è cambiato nella gestione delle dinamiche migratorie. Il fenomeno dell’immigrazione non può essere considerato un’emergenza quando è così strutturale. Dovremmo accogliere queste persone senza far diventare il loro viaggio una corsa al massacro.

Ma il ricordo e la commemorazione da soli non sono sufficienti. Dieci anni dopo, il volto disumano delle politiche di respingimento è ancora presente, e sembra addirittura essere peggiorato. Ogni giorno, pregiudizi e ignoranza alimentano l’odio e si costruiscono barriere contro i nostri fratelli e sorelle che cercano disperatamente una via di fuga.

Le statistiche parlano di altre 28.000 persone che hanno perso la vita in mare negli anni trascorsi dal 3 ottobre 2013, ma spesso queste tragedie sono accolte con indifferenza o fastidio da parte di singoli individui e istituzioni nazionali e comunitarie. Migranti senza volto e senza nome continuano a perdere la vita in un mare di indifferenza, mentre fuggono da persecuzioni, guerre e fame, cercando un futuro migliore, dignità e diritti.

L’accoglienza, ci ricordano le nostre radici mediterranee, è ciò che separa un popolo barbaro da un popolo civile. Dovremmo rimanere fedeli alla parte più nobile di noi stessi per cambiare il corso degli eventi. Vogliamo rimanere dalla parte dell’umanità, dalla parte dell’accoglienza. Per noi, ogni giorno è il 3 ottobre, e ogni giorno è un’opportunità per salvare una vita. Non servono sfilate o cerimonie, ma l’indignazione per coloro che continuano a morire in mare deve restare viva, costante e incrollabile. Solo così potremo veramente onorare la memoria di coloro che hanno perso la vita in cerca di un futuro migliore.

Andrea Umbrello

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