Cavie umane, sono quei volontari che si mettono a disposizione per la ricerca, per verificare gli effetti di un nuovo farmaco, quindi si sottopongono alla cosiddetta Fase 1, dietro un riconoscimento economico, che varia dai 200 ai
250 euro al giorno.
In un anno possono partecipare per un massimo di tre volte, sono persone che non temono di dovere prendere per primi un farmaco di cui non si conoscono gli effetti, rimangono chiuse in clinica per circa tre giorni per cercare di capire come reagisce l’organismo al nuovo farmaco. Di solito sono studenti di medicina di Milano e Varese, giovani disoccupati, intere famiglie in difficoltà economica, persone dirette dai parenti in Germania che si fermano qualche giorno in clinica nel Ticino. Vi sono controlli attenti per evitare che le persone partecipino a più studi trasformando così la figura del volontariato in lavoro. A tal proposito gli archivi dei centri di ricerca sono in rete e devono passare un certo numero di mesi tra due studi a cui si partecipa. Si chiama periodo di wash out e in Svizzera è di 3 mesi, in altri paesi europei di 4 e in Italia di 6.
Solitamente questi volontari si propongono per motivi economici e quindi non è la prospettiva del progresso a farli muovere. Esiste un database on-line, volterys. it, dove centri di ricerca europei e cavie si possono incontrare. Fino a qualche tempo fa erano circa 41 mila gli iscritti, soprattutto francesi, e per la maggior parte ventenni.
Forse non ci abbiamo mai riflettuto al fatto che dietro ogni farmaco che teniamo sul nostro comodino ci sono degli studi specifici e che esistono persone che si prestano per verificare l’efficacia del farmaco. Purtroppo c’è anche da dire che non è detto che i volontari parteciperebbero senza compenso economico, e potrebbe anche essere giusto, visto che mettono in gioco il proprio corpo quasi come fosse un laboratorio di ricerca.
Veronica Gioè