Sfere riflettenti, scale che non portano da nessuna parte, figure che si intrecciano, si mescolano e si completano. È così che Maurits Cornelis Escher è conosciuto dai più, un uomo dalla personalità forse complicata, i cui disegni si appoggiano su quel filo sottile che separa genialità e follia. Ma, se si è soliti dire che dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna, in questo caso è l’Italia a fare da protagonista. Prima di approdare ai motivi ricorrenti e alle geometrie di fronte cui Euclide avrebbe di che riflettere, il percorso artistico di Escher coincide con un percorso fisico che si snoda lungo tutta la nostra penisola.
Il viaggio del giovane disegnatore/incisore olandese comincia dopo aver lasciato la scuola di Architettura e Arti Decorative, in cui era stato definito – ed è incredibile a credersi – “troppo poco artista”. Si stabilisce in Italia a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, e le opere create in questi anni assumono il ruolo di diario, raccontandoci le tappe del suo itinerario. E noi adesso le seguiremo.
È una parte di produzione improntata al mimetismo, ovvero alla rappresentazione realistica del mondo circostante: ciò che si vede è ciò che è. Nulla a che vedere, insomma, con ciò che lo ha reso famoso, ma le geometrie paesaggistiche che trovò in Italia ispirarono l’artista, e lo indirizzarono dolcemente verso un sentiero di maturazione artistica e personale.
È il paesaggio toscano a colpire per primo l’immaginazione di Escher. “Tetti di Siena” (1922) e “San Gimignano” (1923) sono le due pagine di diario di questo periodo, e proprio nella città di Siena gli fu concesso di tenere la sua prima mostra, all’interno del palazzo comunale, proprio nei giorni del Palio del 1923. Chissà se l’artista si rese conto del grande onore ottenuto…
Da qui scese poi nel Lazio, dove immortalò il paese di Vitorchiano (“Vitorchiano nel Cimino”, 1925) e Barbarano (“Barbarano, Cimino”, 1929), prima di “rotolare verso sud” (per dirla con i Negrita) e fermarsi in Calabria. Il paesaggio calabrese cattura l’attenzione dell’artista, le pareti rocciose da cui paesini arroccati dominano la linea dell’orizzonte e a cui noi siamo così abituati suscitano in lui interesse e curiosità; ne abbiamo testimonianza in opere quali “Castrovalva” (1930) e “Tropea, Calabria” (1931).
Se una persona qualsiasi avrebbe a questo punto proseguito ulteriormente verso sud, Escher si rivela di nuovo atipico, risalendo verso la Campania, dove rimane estasiato dalla Costiera Amalfitana, di cui ci lascia numerose “pagine di diario”, tra il 1931 e l’anno successivo, in cui decide di attraversare lo Stretto e approdare in Sicilia. Visita l’Etna e le province di Palermo e Trapani, ma non sembra concentrasi sulle località prettamente marinare. Ciò che lascia dietro sé è invece una parte di produzione che vede protagoniste le montagne (“Caltavuturo in the Madonie Mountains Sicily”, 1933 e “Lava Flow in 1928 in Etna Sicily”, 1933) e le antiche colonne (“Temple of Segeste, Sicily”, 1933 e “Cloister of Monreale Sicily”, 1933).
Dopo un’ulteriore tappa in Corsica, Escher torna in Italia per visitare la Capitale. Di Roma l’artista ci lascia numerose testimonianze che ritraggono la città di notte; evidentemente, Roma non avrà fatto la stupida, quella sera…
Le colonne sono protagoniste di quest’ultima fetta di corpus, di cui gli esempi rappresentativi sono “Nocturnal Rome: Colonade of St. Peter’s”, “Nocturnal Rome: Trajan’s Column”, entrambe del 1934, e “Nocturnal Rome: Inside St. Peter’s” dell’anno successivo. Successivo e ultimo. Escher lascerà l’Italia in quello stesso anno, preoccupato dal clima politico che si andava affermando definitivamente.
Viaggerà ancora, spostandosi dapprima in Svizzera dove si fermò per due anni, ma il – da lui
definito – “paesaggio misero e bianco” li rese insopportabili. A seguito dell’ennesimo spostamento, Escher scoprirà l’Alhambra, che gli aprirà le porte al mondo della divisione regolare e ricorsiva del piano, su cui si basa la maggior parte della sua produzione successiva, e più famosa.
L’esempio di Escher dovrebbe diventare un punto di partenza per guardarsi intorno e rendersi conto di quanta bellezza esiste nella nostra penisola, per valorizzarla e apprezzarla come (non) solo gli artisti sanno fare.
Margherita Moretti