Dente cariato del sindaco e denti di Giulio Regeni spezzati dalle botte

Un dente cariato. Nell’Italia che fa a gara a chi la spara più grossa, dagli epiteti sessisti della Casa del Grande Fratello alle volgarità dei politici a cui è concesso dire di tutto, associare la vicenda di Giulio Regeni alla carie a un dente involontariamente restituisce il senso di ciò che quella storia tragica rappresenta per il nostro Paese: un fastidio, una realtà scomoda, un disagio da silenziare prima con qualche anestetico e poi da rimuovere con una pinza.

L’egregio Sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, che ha usato questa espressione nell’esprimere soddisfazione dopo la rimozione dello striscione di Amnesty International dalla facciata del Municipio, ha dimenticato un particolare: a Giulio i denti sono caduti non per la carie, ma perché gli sono stati spezzati a furia di pugni e botte. In qualche stanzino buio di qualche carcere egiziano. Chi fa l’esperienza di stare sotto i ferri dal dentista, anche in caso di anestesia, sa bene il fastidio e il dolore che si prova. Figuriamoci quando i denti si spezzano perché due carcerieri ti tengono fermo e altri due ti sfigurano il viso a suon di pugni fino a farlo sembrare, come nel celebro canto del profeta Isaia, un volto che nulla più ha di aspetto umano. Il Sindaco Dipiazza tutto questo non l’ha messo in conto.

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Ma con l’immagine della carie, il primo cittadino della città dove Giulio è nato – fatto che trasforma la vicenda da un semplice episodio di linguaggio poco appropriato in un episodio di cafonaggine istituzionale –ci svela perché Dipiazza e la maggioranza di centrodestra al consiglio comunale vogliono togliere quello striscione: perché fa male. Sì, fa male come la carie. Fa male il ricordo di un ragazzo di 26 anni appena compiuti torturato per settimane e ritrovate al bordo di una strada, con il corpo maciullato di ferite e lividi e il volto irriconoscibile. Un volto che, come ha detto la stessa mamma, non aveva più nulla di Giulio: su quel volto era passato tutto il male del mondo, peggio delle torture nazifasciste.

E fa male come la carie pensare che, dopo 8 mesi, siamo ancora al rimbalzo delle responsabilità, ai vertici bilaterali Italia-Egitto, alle dichiarazioni a mezzo stampa, senza trovare una risposta all’unica domanda: chi ha ucciso Giulio Regeni. Chi sono mandanti e chi sono gli esecutori. Cosa aveva scoperto Giulio che non si doveva far sapere. E quali sono gli interessi tra Italia ed Egitto per i quali si vuole continuare a silenziare la verità e a non fare giustizia a Giulio e alla sua famiglia.

Non ci assuefae, come volevano far credere i consiglieri di maggioranza del consiglio comunale triestino, a vedere un manifesto che chiede verità e giustizia. Ad essere assuefatta è la coscienza che non vuole porsi domande e non vuole ricercare la verità. Assuefatta è la coscienza che mette a tacere il grido di verità e giustizia. Assuefatta è la coscienza personale e collettiva di chi vorrebbe costruire una società che, per dirla con lo scrittore francesese René Alleau, quando rinuncia ai simboli non può evitare di cadere al livello delle società infraumane.

La carie, dunque, non è lo striscione di Giulio Regeni: ma la coscienza politica che dorme di fronte a un ragazzo torturato e smembrato nella sua dignità prima che nel suo corpo, sul cui volto si è consumato l’orrore e che, chissà per quali logiche e interessi, ancora non ha giustizia.

Auguri al Sindaco Dipiazza perché, dopo aver rimosso la carie, possa pensare anche ai suoi problemi di atrofizzazione del cuore e dei sentimenti. Con una nota politica malinconica finale: dispiace per una destra che, per chi ancora crede più o meno a qualche ideologia, dovrebbe teoricamente difendere l’interesse nazionale e invece se ne infischia e fa stomachevoli paragoni odontoiatrici con il corpo di un figlio della patria massacrato in uno Stato estero.

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