Al crocevia tra Oriente ed Estremo Oriente lo Sri Lanka vive la più grande crisi dal 1948, anno dell’indipendenza. Il Covid19, la crisi alimentare e la guerra russo-ucraina hanno condannato il Paese al default a causa dell’enorme debito singalese. La Cina, gigante creditore dell’isola, ha un ruolo ambiguo, tra l’aguzzino e il salvatore.
Gli antichi arabi e persiani avevano dato allo Sri Lanka il nome di Serendib. Era, fin dal VII secolo, un importante porto commerciale fino al 1505, quando arrivò ad ospitare anche contingenti militari degli arabi intenti ad aiutare l’isola contro il colonialismo portoghese. Il termine arabo per indicare l’isola (Serendib) è lo stesso termine da cui deriva la parola “serendipità”: quell’elemento di causalità e di inaspettato che contraddistingue l’approccio dell’uomo alla realtà.
L’isola è abitata da due etnie principali: una maggioranza singalese (circa il 75% della popolazione) di fede prevalentemente buddhista, e una minoranza tamil (circa il 18%) prevalentemente induista, stanziata tra il nord e l’oriente dell’isola.
Posizionato tra il Golfo di Mannar, che lo separa dall’India, si trova al centro dell’Oceano Indiano, proiettato verso la più densa via commerciale dell’Asia: lo stretto di Malacca. Crocevia obbligato per i commerci e i trasporti di gas e petrolio. Cruciale via di navigazione per i commerci dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia Orientale.
La posizione dello Sri Lanka è privilegiata per quanto riguarda la strategia commerciale e politica dell’Indopacifico.
Ma lo rende anche vulnerabile ai cataclismi oceanici, come lo tsunami del 26 dicembre 2004 che causò la morte di 35.000 persone.
Inoltre le divisioni sociali, l’organizzazione in caste e il secessionismo tamil hanno trascinato l’isola in una guerra civile durata oltre vent’anni.
I problemi dello Sri Lanka parvero terminare proprio nel 2009, quando l’ultimo nucleo delle Tigri Tamil (o Tigri per la liberazione della patria Tamil) si arrese all’esercito singalese. Nel 2010, Percy Mahinda Rajapaksa, rieletto presidente, avvia il processo di sviluppo del Paese, attraverso la costruzione di infrastrutture e la promozione del turismo.
E ci riuscì: fino al 2019 il turismo consisteva nel 5% del PIL dello Sri Lanka, e impiegava circa il 10% della forza lavoro del Paese. Anche l’agricoltura riveste un ruolo centrale, costituendo, fino a qualche anno fa, il 7% del PIL, e soprattutto la produzione di tè, caffè, gomma, spezie e riso. Inoltre l’industria tessile è uno dei principali settori produttivi, costituendo i tessuti circa il 30% delle esportazioni del Paese.
Per quanto riguarda le infrastrutture, Rajapaksa, tra il 2005 e il 2015, ha promosso lo sviluppo di strade, di aeroporti e ferrovie, con particolare attenzione alla zona di Hambantota, nel sud del Paese. Il progetto riguardo la regione ha incluso la costruzione di un porto, di un aeroporto e di una zona industriale.
Come è stato possibile tutto questo per un Paese in via di sviluppo?
Dai primi anni del 2000, e in particolare durante il mandato Rajapaksa (2005-2015), la Cina ha finanziato il grosso delle infrastrutture singalesi, specie nella zona di Hambantota. L’aeroporto di Mattala, la centrale elettrica a carbone di Norochcholai e il porto di Hambantota sono state tra le infrastrutture in cui la Cina ha investito di più.
Proprio il porto di Hambantota è stato al centro di grandi preoccupazioni della comunità internazionale. A causa della mancanza del traffico commerciale necessario a ripagare il debito occorso per la costruzione, lo Sri Lanka si è visto costretto, nel 2017, a cedere il porto alla Cina per 99 anni.
Il debito singalese, nel 2020, è pari al 105,2% del suo PIL
La situazione precipita con la pandemia di COVID19, quando le entrate derivanti dal turismo crollano inesorabilmente. A ciò si aggiunga la crisi alimentare dovuta alle politiche corrotte della famiglia Rajapaksa e al conflitto russo-ucraino. La crisi porta a violente proteste che culmineranno il 9 luglio del 2022 con l’assalto del palazzo presidenziale e le dimissioni di Rajapaksa.
La crisi ha portato il governo a sospendere il pagamento dei debiti e a chiedere aiuto sia alla vicina India che all’influente Cina. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha riconosciuto l’insostenibilità del debito singalese che ammonta all’equivalente di circa 20 miliardi di euro.
Intanto il successore di Rajapaksa, Wickremesinghe, ha dovuto attuare severe politiche per arginare la crisi. Ha dovuto incrementare le imposte, cessare i sussidi sui carburanti e perfino pianificare la vendita di imprese statali.
Il ruolo della Cina, in quest’anno, sembra in bilico tra quello di un gigantesco e generoso benefattore e quello di un severo esecutore di fronte all’isola inerme. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Mao Ning il 28 febbraio ha detto che la Export-Import Bank of China ha fornito un documento di sostegno finanziario al Ministero delle Finanze, della Stabilità Economica e delle Politiche Nazionali dello Sri Lanka, dichiarando che
la Banca fornirà una proroga sul servizio del debito in scadenza nel 2022 e nel 2023 per contribuire ad alleviare la pressione di rimborso del debito a breve termine dello Sri Lanka.
Insomma il volto della Cina di fronte alla politica circa il debito sembra distendersi. A dispetto delle preoccupazioni occidentali sulla “Strategia del Debito”. C’è però da sottolineare che lo Sri Lanka non è l’unico Paese gravemente indebitato col Dragone.
Il Pakistan, il Venezuela e gran parte dei Paesi Africani (tra tutti l’Etiopia) sono tutti osservatori attenti delle politiche cinesi riguardo al debito.
La gestione del debito singalese da parte della Cina potrebbe essere paradigmatica delle relazioni tra il Gigante Asiatico e i suoi debitori. “Inseguire i debiti non pagati non farà guadagnare molti amici alla Cina” sostiene un articolo di Foreign Policy.
Secondo gli esperti, questa tensione ha messo Pechino di fronte a un compromesso impossibile: può riscuotere il suo denaro senza danneggiare la sua immagine?
Da un lato è possibile che la Cina abbia una strategia ben precisa e che si dispiegherà in un periodo molto lungo. Dall’altro c’è da sottolineare che l’Occidente corre il rischio di giudicare troppo in fretta e troppo duramente l’operato della Cina.
La domanda resta: lo Sri Lanka sarà ancora serendipità?
Gaetano Alfano