Medio Oriente – Il mese di febbraio per palestinesi e israeliani è trascorso all’insegna di attentati e raid, arresti e proteste. Il risultato è un bilancio di più di ottanta morti dall’inizio dell’anno. La mediazione statunitense e il vertice di Aqaba sembra porsi come soluzione temporanea del conflitto.
È del 14 febbraio la dichiarazione congiunta dei ministri degli Esteri di Italia, Francia, Germania, Regno Unito e USA in cui si esprime «profondo turbamento» in merito al progetto israeliano di provvedere alla normalizzazione di nove insediamenti in Cisgiordania.
In quegli stessi giorni Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale israeliana, ha comunicato l’attuazione di una vasta campagna di controllo a Gerusalemme Est attraverso confische e arresti. Questo in risposta a due attentati che hanno ucciso dieci israeliani. L’operazione ha portato all’arresto di 42 persone residenti presso a-Tur, area a forte maggioranza palestinese.
Intanto il 13 febbraio a Gerusalemme si sono inasprite le manifestazioni contro riforma che sottopone giudici e magistrati al controllo della politica, mentre gli altoparlanti riproponevano le parole di Netanyahu «senza una Corte Suprema forte e indipendente non c’è protezione dei diritti. È questa la differenza tra democrazia e dittatura».
Ma non bastano le proteste a fermare le perquisizioni a tappeto in Cisgiordania. Già nel mese di gennaio, nel campo profughi di Jenin, l’esercito israeliano ha ucciso 13 persone, senza risparmiare i civili. I gas lacrimogeni adoperati dall’esercito israeliano sono penetrati negli ospedali, raggiungendo i neonati e impedendo gli interventi chirurgici. Il presidente dell’Autorità nazionale Palestinese, Abu Mazen, proclamerà tre giorni di lutto nazionale.
A Nablus, pochi giorni fa, un ulteriore raid militare israeliano si è reso colpevole di altre 9 vittime, provocando decine e decine di feriti. Gli obiettivi dell’attacco erano tre jihadisti, tra cui uno dei comandanti locali che, secondo l’intelligence israeliana, stava preparando un attentato. Lo scontro a fuoco ha colpito l’area del mercato del piccolo centro. Tra le vittime un uomo di 72 anni e un ragazzo di neanche 16 anni, portando il bilanci delle vittime a più di ottanta morti.
Dall’inizio dell’anno tra le vittime vi sono oltre 70 palestinesi e 10 israeliani.
È in questo clima che lunedì 20 febbraio il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (ONU) ha definito gli insediamenti israeliani come «ostacolo alla pace», nel giorno in cui avrebbe dovuto votare per la risoluzione proposta dagli Emirati Arabi Uniti. Tale risoluzione avrebbe previsto di “cessare immediatamente e completamente tutte le attività di insediamento nei territori palestinesi occupati“.
Le continue attività di insediamento di Israele mettono a rischio la fattibilità della soluzione dei due Stati
L’intervento degli Stati Uniti ha però scongiurato il voto, ripiegando sulla mediazione tra Israele e palestinesi mirando all’accettazione di un congelamento di azioni unilaterali per sei mesi.
La reazione di Netanyahu si è rivelata durissima, dichiarando la proposta statunitense come unilaterale in quanto «nega il diritto degli ebrei di vivere nella loro patria storica e ignora gli attentati palestinesi a Gerusalemme».
Palestinesi, israeliani, egiziani e giordani hanno preso parte al vertice di Aqaba, il 26 febbraio, su pressione degli USA, riconoscendo l’impegno “a ridurre l’escalation sul campo e a prevenire ulteriori violenze”
Un’azione immediata per fermare misure unilaterali per un periodo di tre-sei mesi e da parte di Israele a interrompere qualsiasi nuovo insediamento per sei mesi.
Tzachi Hanegbi, consigliere della Sicurezza nazionale israeliana, dopo il vertice ha però tenuto a precisare che non vi è nessun mutamento nella politica di Tel Aviv aggiungendo che non c’è alcun congelamento nelle costruzioni né cambiamento sullo status quo della Spianata delle moschee, né limiti all’attività dell’esercito.
La mediazione statunitense e la connessa reazione del governo israeliano sottolineano le divergenze sempre più nitide nei rapporti tra Netanyahu e Biden, tra Israele e Washington. Tuttavia ciò che è stato fatto finora non sembra bastare a fermare i massacri di civili, non sembra bastare a strappare vittime innocenti alla “selvaggia” colonizzazione di Israele.
Gaetano Alfano