Delia è di nessuno, il libro di Ilaria Milandri

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Delia è di nessuno

Respirando, oltre il corpo e i tacchi, una libertà
Delia è di nessuno, una donna e un respiro

I papaveri rossi della guerra di Piero per ricordare i caduti in guerra.
I papaveri rossi nel campo di grano di Van Gogh ed insieme i petali a terra, sgualciti, nella grigio di un muro sbrecciato, sul grigio del nostro quotidiano. Un papavero sta integro, in primo piano.
La copertina del libro è anche essa di Ilaria Milandri, autrice di Delia è di nessuno, romanzo letto in tre caldissimi giorni di luglio, sottolineando e facendo orecchiette alle pagine, dopo una prima e volante lettura sopraelevata.
Aprendo e chiudendo, scrivendo due righe sul senso del momento.
Nel mio non far recensione io dialogo con i personaggi e le situazioni del libro cercando le frasi e il piacere che riesco a trasmettere su questa architettura. Una storia infatti progettata come un disegno a tavolino per riuscire a veder Delia quasi come una dea, la dea della vendetta.
Aleggia nel libro questa aria da tragedia greca, di famiglie atroci, con legami malsani, ci sarà quindi un deus ex machina? E leggendo si scopre che il personaggio è proprio un architetto, almeno per studi, ed io subito soprannomino Delia l’architetto del destino. Sulla storia incombe la morte e la cenere, cenere siamo e cenere diventeremo, in una urna “Stiamo parlando di polvere”
Mentre intorno la città, le strade, e le persone fanno l’alba e aspettano la sera, telefonano e chiedono rapporti oppure corpi, sappiamo quali sono gli scopi.
“I nostri scopi qualunque essi siano riguardano qualcun altro. da soli non siamo nessuno, non abbiamo motivo di esistere, non esistiamo”
Dettagli da ogni foglio sul quale ho fermato un senso, il filo con cui ho letto un testo che guarda con la stessa distanza del distacco caratteriale di Delia lo spazio in cui muoversi. ” Fa parte dell’uomo prendere le distanze da chi l’ha preceduto” questo ci dice Ilaria Milandri e questo sappiamo dagli studi e dall’arte che era stata così amata dal padre di Delia da voler lui essere polvere in un quadro manierista oppure nell’inchiostro del suo poeta vivente preferito.
Delle due lettere che Delia riceve una parla di felicità e l’altra di esser pavidi, fino alla fine. Una è la lettera del padre e l’altra quella di un saggio, un Nestore quasi, che sulla panchina ogni mattina, all’alba, siede per pochissimo prima dell’apertura di un cimitero.
Delia non è di nessuno mi ha ricordato i Gormiti. Avevo una loro frase al posto del trillo sul cellulare, un vecchio cellulare, che non ho più da moltissimo tempo, faceva pressapoco così: Quando l’imperatore della terra ti chiama rispondi” Vorrei tanto risentirla, come monito di un tempo malvagio, quasi come Delia vorrebbe incontrare di nuovo Adamo fra gli attimi di felicità perse.
Nella fotografia del racconto le immagini sono sempre nel centro della scena, anche il respiro, anche quell’annusare la pelle con i suoi vari afrori. Cosi fra respiro e lettura, fra il mio respiro di lettrice e il respiro di chi lo ha scritto sta con noi Delia.
“Delia era l’aria dentro alla quale stanno le poesie”

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