Vent’anni sono periodo di tempo piuttosto lungo; un quarto della durata di una vita media, un quinto per i più fortunati. Cosa ricordiamo? Quali sono gli eventi che li hanno segnati? Difficile, su due piedi, riordinare le idee e collocare i fatti sulla linea del tempo. E se invece considerassimo gli eventi sportivi? Quali sono stati gli avvenimenti più significativi di questi 20 anni di sport?
Vent’anni fa molte cose erano diverse da come le conosciamo adesso. Forse qualche lettore di queste pagine doveva ancora nascere. Anche Ultima Voce non aveva ancora visto la luce. Chi si ricorda cos’è successo vent’anni fa? Ad esempio, sapreste dire, al volo, chi governava l’Italia o chi era il presidente degli Stati Uniti nel 2004? Però se scrivo “Germania 2006”, la maggioranza di voi esclama: “Il cielo è azzurro sopra Berlino!”, nonostante siano già passati parecchi anni da allora e i protagonisti di quella vittoria siano seduti in panchina come allenatori o si stiano dedicando ad altre faccende. Cosa ha segnato questi 20 anni di sport?
20 anni di sport: la nostra memoria collettiva
Lo sport ha questo potere: ci resta in mente; i suoi eventi si imprimono nella nostra memoria. Nella memoria di tutti gli appassionati. Forse perché li condividiamo, forse perché ci coinvolgono emotivamente. Tant’è che gli avvenimenti sportivi li ricordiamo molto più di altri, anche più importanti. Ci ricordiamo dove eravamo quando li abbiamo visti, con chi eravamo, come abbiamo seguito la gara o la partita, come abbiamo esultato o ci siamo disperati. Ripercorriamo allora insieme questi “e-venti”: 20 anni di sport, un ricordo per anno, un pezzo di noi che conserviamo o qualcosa che, forse, abbiamo dimenticato o tralasciato a suo tempo…
Come scegliere il meglio di 20 anni di sport?
Quello che segue è in parte un gioco e in parte un esercizio di memoria. Non vuole essere un elenco esaustivo – come potrebbe? E quando si fa un gioco di questo tipo, è chiaro che restino fuori tanti avvenimenti e personaggi che sarebbero meritevoli di essere citati e ricordati. Chi scrive ne è consapevole. A volte la scelta è ricaduta su uno sport meno noto – per il desiderio di raccontarlo – a volte su un personaggio che ha raggiunto un traguardo storico, anche se non ha fama planetaria – ma merita di tornare alla ribalta. Sperando che la scelta sia, almeno in parte, condivisa o che sia comunque uno stimolo per riscoprire e rivivere le emozioni vissute grazie allo sport, possiamo partire insieme sulla macchina del tempo… Il nostro viaggio nei 20 anni di sport, inizia dal 2001…
2001: il sigillo di Valentino
L’11 settembre 2001 è forse la data più indimenticabile di questi vent’anni. A volte ci sembra strano sia passato già così tanto tempo. Forse perché, a partire da quel giorno, una lunga catena di eventi si è succeduta lasciando una scia nefasta dietro a sé, che ancora prosegue fino ad oggi… Ma il 2001, fu anche l’anno dei terribili fatti del G8 di Genova, della telenovela di padre Milingo e della paura del virus della “mucca pazza”.
E sì: nel 2001 già ci si emozionava per Valentino Rossi, all’epoca poco più che ventenne. Questi 20 anni di sport iniziano nel segno del pilota pesarese. La sua, in sella alla Honda NSR500, fu una vittoria da predestinato. Al secondo anno nella classe regina, ripetè i trionfi mondiali già conquistati su 125cc e 250cc. Il 14 ottobre, a Philip Island, la gara che corona la sua cavalcata vincente, davanti agli altri due italiani, il rivale dell’epoca Max Biaggi e Loris Capirossi. Fu anche l’ultimo anno della 500cc – sigillata da “the Doctor” Rossi – che dal 2002 avrebbe lasciato spazio alla MotoGP.
2002: i capelli di Ronaldo
Mentre l’Argentina arrivava a un drammatico default finanziario, in Italia le nuove BR balzarono tristemente agli onori della cronaca con l’omicidio di Marco Biagi e Berlusconi si preoccupava di far cacciare i giornalisti a lui sgraditi dai canali televisivi nazionali.
Intanto in Corea e Giappone si stavano organizzando i Mondiali di Calcio. Sì, proprio quelli funestati – per noi italiani – dall’arbitro Byron Moreno, che mise lo zampino (o lo zampone) nell’eliminazione degli azzurri agli ottavi di finale. A distanza di anni, bisogna onestamente ammettere che i giocatori ci misero anche un po’ del loro, ma tant’è: una nazionale oggettivamente fortissima si fermò prima del previsto.
A festeggiare fu il neo eletto Presidente brasiliano Lula, grazie a una squadra – quella verdeoro – molto pratica e poco tradizionale. Un 3-4-1-2 compatto, che lasciava spazio alla corsa di Roberto Carlos e Cafù sulle fasce e alla fantasia e al talento di Ronadinho, Rivaldo e Ronaldo in attacco. Il “Fenomeno” fu capocannoniere di quel mondiale e decise la finale contro la Germania con una doppietta. E si fece notare anche per un taglio di capelli decisamente particolare.
2003: la grande menzogna – ma allora non si sapeva…
Il 2003 viene ricordato per l’estate del caldo record, ma anche per l’espressione “armi di distruzione di massa” che imperversava sui giornali e alla televisione.
Imperversava anche il calcio italiano, con tre squadre in semifinale di Champions League e la vittoria, ai rigori sulla Juventus, del Milan di Ancelotti e Shevchenko.
Ma il protagonista della torrida estate fu Lance Armstrong, che vinse il suo quinto Tour de France consecutivo, come prima di lui era riuscito a fare solo Miguel Indurain. Sembrava il coronamento di una favola sportiva. Dopo aver superato un cancro ai testicoli, Armstrong era tornato in sella. Non solo: era diventato il più forte di tutti, forse il più forte di sempre, e un inno alla forza di volontà, della possibilità di coranare i sogni superando anche le difficoltà più dure… Sembrava, perché qualche anno più tardi venne fuori la verità sul doping sistematico di cui aveva fatto uso durante l’intera carriera e nel 2012 l’UCI revocherà tutte le sue vittorie. La delusione più grande, per gli appassionati, di 20 anni di sport.
2004: la fine di una maledizione
Il 2004 fu un anno difficile, non solo per i nostri 20 anni di sport, ricordate? Gli attentati di al-Qāʿida che a Madrid fecero esplodere quattro treni locali, causando 192 morti e oltre 2000 feriti; la strage di Beslan; lo tsunami che devastò l’Indonesia e la Thailandia.
Anche sportivamente l’anno iniziò con una notizia tragica: il 14 febbraio moriva a Rimini “il pirata” Marco Pantani.
Ma fu anche un anno che riservò qualche sorpresa sportiva, ad esempio la vittoria di una outsider come la Grecia agli Europei di calcio.
O la fine della “Maledizione del bambino” dopo più di ottanta anni. Ottantasei, per la precisione, erano gli anni trascorsi dall’ultimo titolo vinto dai Red Sox di Boston, nel 1918. E ottantaquattro da quando cedettero, tra tante polemiche, il “bambino” in questione ai rivali New York Yankees. Si trattava di Babe Ruth, soprannominato così per il suo talento precoce, che lo aveva portato alla ribalta (e alla vittoria) come lanciatore nei Red Sox, fino a quel famigerato 1920 A New York giocò come battitore, realizzò diversi record e portò a casa altre quattro World Series. Mentre a Boston si mangiavano le mani e dovettero aspettare decenni, fino al 27 ottobre 2004.
2005: il volo di Yelena
Anche il 2005 ci riporta alla mente qualche ricordo funesto: gli attentati di Londra e Sharm el Sheik, l’uragano Katrina. Nel 2005 morì Karol Woytila e gli succedette al soglio pontificio Joseph Ratzinger. Gli appassionati di wrestling ricordano lo come l’anno della scomparsa di Eddie Guerrero. Noi lo ricordiamo anche come l’anno in cui è stato ucciso Federico Aldrovandi.
Nel 2005 Yelena Isinbaeva ha 23 anni. Ha già una medaglia olimpica al collo, conquistata l’anno precedente ad Atene. È stata pure nominata atleta dell’anno e detiene il record del mondo di salto con l’asta. Anzi, continua a battere, gara dopo gara, il suoi stessi record. Il 22 luglio è una serata calda in quel di Londra, dove si sta svolgendo il meeting di atletica; Yelena ha già vinto la sua gara, tutte le avversarie sono già fuori dai giochi, ma il pubblico accorso sugli spalti non stacca gli occhi dalla pedana. Ha già ritoccato il record del mondo portandolo a 4,96 metri. Ora, davanti a lei, l’altezza è fissata a 5 metri.
Lo sguardo concentrato, la rincorsa, l’asta che si flette, l’arco perfetto disegnato dalla parabola del suo volo, la caduta, l’esplosione di gioia. È la prima donna a volare oltre il limite dei 5 metri. Meno di un mese dopo, a Helsinki, si supererà di un altro centimetro e andrà avanti a collezionare medaglie e record anche negli anni successivi. Il suo salto a 5.06 metri – nel 2009 a Zurigo – è tuttora imbattuto.
2006: il record di Armin
È il 250° anniversario della nascita di Mozart, il centrosinistra vince le elezioni e Romando Prodi viene eletto Presidente del Consiglio. Dopo 43 anni di latitanza viene catturato il boss mafioso Bernardo Provenzano. Papa Benedetto XVI fa infuriare mezzo mondo islamico con il suo discorso all’Università di Ratisbona.
Il mondo del tennis saluta Andrè Agassi, dopo 20 anni di trionfi, cadute, rinascite e talento. È l’anno di “calciopoli” e dell’Italia campione del mondo di calcio.
Ma è anche l’anno dell’Olimpiade invernale di Torino. Un Olimpiade straordinaria, non solo sportivamente, perchè la sua organizzazione segna un cambio di paradigma nella scelta delle sedi olimpiche invernali. Si esce dai comprensori sciistici e si portano gli sport invernali in mezzo alla gente, coinvolgendo un’intera città nelle manifestazioni sportive e nel clima di festa di un grande evento.
E le Olimpiadi di Torino sono, tra gli altri, le Olimpiadi di Armin Zöggeler. Lo slittinista di Merano conquista l’oro e diventa il primo azzurro ad andare a medaglia per quattro olimpiadi consecutive. Farà ancora meglio, arrivando a sei medaglie consecutive, con i bronzi di Vancouver 2010 e Sochi 2014; l’unico atleta in tutto il mondo ad aver raggiunto il podio in sei olimpiadi consecutive nella stessa specialità.
2007: l’ultima (vera) estate di Luna Rossa
C’è stato un tempo in cui i telegiornali riportavano, ogni giorno, bollettini di guerra dall’Afghanistan. Un tempo in cui la passione politica animava ed entusiasmava milioni di persone, che diedero vita, nel 2007, al Partito Democratico: un partito, si diceva allora, di centro sinistra, popolare, a vocazione maggioritaria. Erano i tempi, finiti presto, del bipolarismo. C’è stato un tempo in cui non avevamo tutti uno smartphone in tasca: un tempo finito nel 2007, anno in cui fu presentato il primo Iphone della Apple.
C’è stato un tempo in cui ci appassionavamo alla vela. Erano le notti del Moro di Venezia e della prima Luna Rossa, che vinse la Louis Vitton Cup nel 2000, guadagnandosi la partecipazione all’America’s Cup, dove fu sconfitta dai neozelandesi di Black Magic. Ci riprovò poi nel 2002, senza fortuna. E tornò ad appassionare gli italiani ancora una volta, nel 2007, stavolta nei pomeriggi assolati di Valencia. L’impresa si fermò in finale, quando l’imbarcazione dello skipper Francesco De Angelis (al timone dal 2000 e unico skipper non anglosassone ad aver vinto la Luois Vitton Cup) si arrese all’imbarcazione di Team New Zealand – che verrà poi sconfitta nell’America’s Cup dagli svizzeri di Alinghi, campioni in carica.
Da allora l’America’s Cup si è persa in una serie di dispute legali sui regolamenti di gara, lasciando per strada imbarcazioni e tifosi. Anche Luna Rossa è rimasta prigioniera di una macchina che non ha più ripreso slancio e non sa più appassionare come allora. O, forse, erano solo altri tempi.
2008: un fulmine giamaicano a Pechino
Nel 2008 Fidel Castro rinuncia al potere e lascia posto al fratello Raul. Intanto, in Italia, Silvio Berlusconi torna a insediarsi come Premier. Nel frattempo vanno in pensione le VHS: anche l’ultima azienda che le produceva, superata dalla storia della tecnologia, dice basta. Basta film videoregistrati, basta videocassette scambiate, noleggiate, piratate.
Nell’estate del 2008 gli occhi del mondo sportivo sono su Pechino. E il mondo scopre Usain Bolt. Il ragazzone giamaicano era già considerato un talento dagli addetti ai lavori, ma il suo medagliere – complici gli infortuni e avversari più esperti di lui – era ancora piuttosto scarso. Però il 31 maggio fa segnare il nuovo record mondiale sui 100 metri e pochi giorni più tardi realizza la quinta prestazione di sempre sulla distanza doppia.
Bolt arriva perciò da favorito alle Olimpiadi di Pechino, ma nessuno avrebbe immaginato quello che riuscirà a combinare. Nella finale dei 100 metri ferma il cronometro a 9”69, nuovo record del mondo, nonostante corra gli ultimi trenta metri rallentando vistosamente, in preda all’esultanza – e gli ultimi passi addirittura con una scarpa slacciata! Quattro giorni dopo si ripeterà sui 200 metri, battendo il record di una leggenda dell’atletica come Michael Johnson. E si ripeterà ancora, nel 2012 a Londra e nel 2016 a Rio de Janeiro, diventando il primo atleta nella storia ad aver vinto l’oro nei 100 e nei 200 metri per tre Olimpiadi consecutive.
2009: l’anno del tiqui-taca
Del 2009 abbiamo negli occhi le immagini del terremoto che alle 3:32 del 6 aprile colpì L’Aquila. 309 morti, 1600 feriti, più di 60.000 sfollati. Ma il 2009 è anche l’anno della morte di Michael Jackson; l’anno in cui a Bagnone, in Toscana, si registra la vincita record di 147,8 milioni al Supernalotto; e l’anno in cui è stato ucciso Stefano Cucchi.
La sera del 27 maggio la temperatura allo Stadio Olimpico di Roma è gradevole. Agli ordini dello svizzero Busacca si affrontano i campioni in carica del Manchester United, guidati da Sir Alex Ferguson, e il Barcellona di Pep Guardiola, alla prima stagione da allenatore dei catalani. Finì 2 a 0, con le reti di Eto’o e Messi; ma il dominio fu più netto di quanto dica il risultato.
Era, già allora, Messi contro Cristiano Ronaldo, che all’epoca giocava nel Manchester United. Ma quella fu, soprattutto, la partita di Pep Guardiola, della sua idea di calcio, costruita sul talento di Iniesta e Xavi. Un’idea di calcio che recuperava le lezioni di grandi maestri di tattica del passato e che si fondava sul controllo dello spazio attraverso il possesso palla: fu il trionfo del cosiddetto “tiqui-taca” e l’inizio di un’epoca calcistica – quella delle sfide tra CR7 e Messi – che ancora non è terminata.
2010: il trionfo della Leonessa
Gli eventi da ricordare del 2010 sono tutti verso la fine dell’anno. A novembre scoppia il caso WikiLeaks, con il sito omonimo che rilascia oltre 250.000 documenti riservati del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. A dicembre, invece, un giovane ambulante di nome Mohamed Bouazizi, si da fuoco davanti al palazzo del Governatorato, per protestare contro i soprusi delle autorità tunisine: è il fatto che darà il via a quei movimenti di protesta che sconvolgeranno il nord Africa e non solo e che verrà chiamato “Primavera araba”.
Per lo sport italiano, invece, il meglio arriva alle porte dell’estate. Il 25 maggio, a Madrid, l’Inter di Massimo Moratti, guidata da Josè Mourinho, vince la Champions League – dopo lo scudetto e la Coppa Italia – e realizza il “triplete”.
Ma una data ancora più storica per lo sport italiano è il 5 giugno. Quel pomeriggio, sulla terra rossa dello stadio Louis Cartier di Parigi, si gioca la finale femminile del Roland Garros. È uno dei tornei più prestigiosi del movimento tennistico mondiale. Una dei tornei del Grande Slam. A darsi battaglia l’australiana Samantha Stosur e l’italiana Francesca Schiavone. Nessuna donna prima di lei è arrivata così lontano in un torneo così importante. La partita è combattuta, ma Francesca, soprannominata “la Leonessa”, vince con merito. La sua espressione, mentre si butta per terra – un’istante dopo l’errore dell’avversaria che le consegna il match – è un misto di felicità e incredulità. La Schiavone è la prima donna italiana a vincere una prova dello Slam, dando il via a una stagione storica per il tennis femminile azzurro.
2011: il ritorno del Settebello
Nel 2011 festeggiavamo il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Nel frattempo le rivolte della “Primavera araba” sconvolgevano il Nord Africa. In Libia scoppia la guerra civile: cade e viene ucciso il colonnello Gheddafi, dopo quarantadue anni initerrotti di potere. Anche Osama Bin Laden viene catturato e ucciso, da un commando di forze speciali della Marina militare statunitense, all’inizio di maggio. Un mese e mezzo prima, un terremoto colpì il Giappone, causando uno tsunami che investì la centrale nucleare di Fukushima. Il disastro che ne seguì fu il più grave incidente nucleare dai tempi di Chernobyl.
Non molto lontano dal Giappone, a Shangai, in estate si disputano i mondiali di nuoto. La nazionale di pallanuoto è reduce da un argento agli euopei di Zagabria dell’anno precedente. Sotto la guida di mister Campagna, in carica dal 2008, si sta provando a ricostruire una squadra vincente, dopo che i primi anni 2000 avevano fatto dimenticare i fasti degli anni ’90. Davanti ai 2000 spettatori dello Shangai Oriental Sport Center, Italia e Serbia si danno battaglia. È una partita durissima, nervosa, giocata sul filo dell’equilibrio. Quando manca poco alla fine del primo tempo supplementare, Felugo trova lo spiraglio giusto e infila l’angolo alla sinistra del portiere avversario.
I tre minuti dell’ultimo overtime sono tesissimi. All’ultima palla giocabile la Serbia ha l’uomo in più. Ma ha anche davanti il portierone azzurro Stefano Tempesti, che durante la sfida ha già parato due rigori e quella sera sembra insuperabile. Quando si dà la spinta e si solleva sull’acqua sembra coprire tutta la porta. Il tiro della speranza serba esce alla destra della porta azzurra. Pochi secondi dopo arriva la sirena di fine partita. Il Settebello è oro mondiale, il Settebello è tornato. E segna questi 20 anni di sport. Sfiorerà l’impresa anche l’anno successivo alle Olimpiadi di Londra, conquistando l’argento.
2012: un proiettile in vasca
La storia è più recente. Probabilmente gli eventi più significativi di questi anni iniziamo a ricordarli più chiaramente (per chi volesse un ripasso, qui c’è un altro articolo di Ultima Voce). Anche la nostra memoria sportiva è più nitida ed è pure meglio conservata, almeno per quel che riguarda i filmati. Basta video sgranati su Youtube o commenti in lingue a noi incomprensibili. Tutto è ripreso, tutto è evento.
L’evento per eccellenza del 2012 in questi 20 anni di sport sono i Giochi Olimpici di Londra. E l’uomo delle Olimpiadi è Michael Phelps. Il soprannome – il “proiettile di Baltimora” – rende onore alla sua velocità in acqua, ma non rende giustizia alla sua costanza, al talento e alla continuità. A Londra si dovrà “accontentare” di quattro medaglie d’oro e due d’argento – lontane dal record assoluto segnato a Pechino 2008 con otto ori – ma scrive un’altra pagina nella storia olimpica, probabilmente inarrivabile.
Nello stesso giorno conquista due medaglie. Vince “solo” un argento nei 200m farfalla – non perdeva questa gara dal 2002, viene superato all’ultima bracciata… e non la prende affatto bene! Ma più tardi si rifà nella staffetta 4×200 stile libero, dove conquista l’oro con gli Stati Uniti. Diventa così, con il 19° podio, il miglior medagliato olimpico della storia. Altre tre medaglie a Londra e sette a Rio 2018 hanno ritoccato il record fino all’incredibile cifra di 28 medaglie olimpiche (di cui 23 d’oro!). Per molti è lui l’atleta di questi 20 anni di sport.
2013: lo “Squalo” in rosa
La data da ricordare per lo sport italiano e per questi 20 anni di sport nel 2013 è l’11 maggio. Ottava tappa del Giro d’Italia, si corre la cronometro di 55km da Gabicce Mare a Saltara. Vincenzo Nibali si è conquistato il soprannome di “squalo” per il suo modo di correre sempre all’attacco. Un modo di correre che lo ha portato costantemente a migliorare, di anno in anno. Ottimo passista e scalatore, grande discesista, abile a cronometro. Ha già vinto la “Vuelta” di Spagna nel 2010, è stato sul podio del Giro nel 2011 e su quello del Tour nel 2012. Stavolta ha un solo obiettivo: la vittoria.
Quel pomeriggio di maggio Vincenzo Nibali attacca dall’inizo alla fine della cronometro, pedala come un forsennato: conquisterà la maglia rosa del leader e non la mollerà più fino alla fine di un Giro d’Italia dominato, vinto con merito e classe. L’apoteosi nella penultima tappa, quella delle Tre Cime di Lavaredo, vinta con addosso la maglia rosa in mezzo a una tempesta di neve.
Si ripeterà l’anno successivo al Tour de France, entrando nella ristretta cerchia dei campioni che hanno vinto tutti e tre le più importanti corse a tappe.
2014: un italiano alla conquista dell’America
C’è uno sport che più di ogni altro risponde al nome di “spettacolo”, anche in questi 20 anni di sport. Uno sport che ha regalato campioni indimenticabili, sportivi che con la loro grandezza hanno oltrepassato la cerchia degli appassionati e sono diventati icone globali. Uno su tutti: Michael Jordan.
Ma in quel circo pazzesco che è la NBA, nel 2014 c’è anche un italiano che si ritaglia uno spazio da protagonista. È Marco Belinelli, da San Giovanni in Persiceto. Accanto a lui, con la cannotiera dei San Antonio Spurs, ci sono campioni della levatura di Parker e Duncan. Ma, soprattutto, c’è Manu Ginobili, uno dei più forti di sempre. L’argentino è già una leggenda in NBA e a San Antonio ha già vinto tre titoli. Ad inizio carriera ha giocato in Italia, nella Virtus Bologna, dove un giovanissimo Belinelli – aveva 16 anni allora – si affacciava al professionismo. Da lì Ginobili volò in NBA. Anni dopo Marco lo ha raggiunto e ha coronato il suo sogno: essere il primo italiano a diventare campione del NBA.
2015: Peyton, più forte di tutto
Facciamo un piccolo strappo alla regola. Perché la stagione è quella del 2015, ma la finale di NFL – il Super Bowl – si disputa all’inizio dell’anno successivo. Siamo perciò qualche mese dopo l’elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica e il ritorno sulla Terra dell’astronauta Samantha Cristoforetti, che con 200 giorni in orbita diventa la donna rimasta nello spazio più a lungo. Ma quella sera californiana merita di essere raccontata. Perchè non fu un Super Bowl come tutti gli altri. Intanto era il numero 50. L’unico a essere scritto, nella dicitura ufficiale, in numeri arabi e non romani. E poi vedeva in campo due quaterback – il ruolo più importante nell’attacco di una squadra di football americano – agli antipodi. Da una parte, con la maglia dei Carolina Panthers, il giovane Cam Newton: veloce, potente, muscolare, moderno. Dall’altra l’esperto Peyton Manning.
Da anni considerato uno dei migliori QB di sempre, Manning si era però laureato campione solo una volta, parecchi anni prima, con gli Indianopolis Colts. Da qualche stagione guida l’attacco dei Denver Broncos, che hanno puntato su di lui quando nessun altro ci avrebbe scommesso. Manning veniva da due anni di inattività. Un brutto infortunio lo aveva costretto ad operarsi alle vertebre cervicali. “Non tornerà più a giocare”. “Tornerà, ma non sarà più come prima”.
Peyton smentisce tutti: torna in campo ed è meglio di prima. Macina record su record e trascina i Broncos a risultati inaspettati. Dopo una stagione quasi perfetta, si trovano a sfidare nel Super Bowl numero 48 i Seattle Seahawks. Ma nella sera più importante si spegne la luce, Manning gioca una partita disastrosa e i Broncos patiscono una delle peggiori sconfitte della storia.
È la seconda sconfitta di Peyton a un Super Bowl. “È finito”. Ma Manning non si arrende. L’anno successivo manca l’accesso all’atto finale del campionato e il suo fisico da qualche segno di cedimento. Eppure ci prova ancora. Nonostante gli infortuni e la condizione fisica in declino, con il suo talento e la sua esperienza dà un contributo fondamentale alle vittorie di Denver. Una difesa spettacolare farà il resto. Nella notte californiana, Peyton chiude la sua carriera con un trionfo che qualche anno prima sarebbe stato impronosticabile. Ma, a volte, i sogni si realizzano sul serio se non ti dai per vinto.
2016: la stagione da favola di Ranieri
Nel 2016 abbiamo imparato che le favole esistono ancora. Che in un mondo ipercompetitivo e milionario come quello della Premier League, c’è spazio anche per gli outsider.
E una squadra fatta di onesti professionisti e qualche campione più o meno incompreso, con la spinta di una città che vede nello sport il proprio riscatto, può abbattere la resistenza di avversari più ricchi e gettonati.
Che la classe operaia, ogni tanto, va in paradiso.
E che un uomo d’altri tempi, etichettato come eterno secondo – ma professionista vero, aggiornato, appassionato – può dare vita a un’alchimia magica che va oltre la tattica. Una magia che si consolida in pizzeria, dopo ogni partita. I volti da copertina sono quelli del bomber James Vardy e del fantasioso Ryad Mahrez, ma l’espressione “vittoria di squadra” si adatta perfettamente alla stagione del Leicester, fino alla conquista della Premier League. Qualcuno l’ha definita “la più grande impresa del calcio moderno”. E probabilmente è stato così. Di sicuro è stata una delle cavalcate più incredibili di questi 20 anni di sport.
2017: Black Lives Matter
Ci sono momenti in cui lo sport e la politica si intrecciano, anche in questi 20 anni di sport.. Episodi in cui gli sportivi sentono che è il momento di scendere in campo anche figurativamente e lottare per una causa che sta loro a cuore. Spesso anche a discapito della loro carriera. Nel 2017 la prestigiosa rivista Sport Illustrated conferisce il premio di “Sportivo dell’anno” a Colin Kaepernick, ex quarterback dei San Francisco 49ers, nonostante nel corso della stagione non abbia disputato nessuna partita, essendo rimasto senza squadra. Sì, perchè il suo team, alla fine del 2016, non gli ha rinnovato il contratto. Ufficialmente perché fuori dai piani tecnici del nuovo allenatore Chip Kelly. Ma tutti sanno che il motivo principale sono le proteste che Kaepernick ha intrapreso mesi prima.
Era una partita di preparazione alla nuova stagione e il quarterback di San Francisco decise di inginocchiarsi durante l’esecuzione dell’inno nazionale. È un gesto di protesta, contro le brutalità della polizia statunitense nei confronti della popolazione nera. Colin ripetè il gesto ad ogni partita successiva, suscitando polemiche da parte della destra, dei Repubblicani e dei nazionalisti. Ma il suo esempio fu seguito anche da tanti altri atleti. Il Presidente Trump intervenne a gamba tesa come sua abitudine, augurandosi che i proprietari delle franchigie della NFL licenziassero quei “figli di puttana” che protestavano.
Dal 2017 Kaepernick è senza contratto e guarda giocare quarterback meno talentuosi di lui. Nonostante vertenze legali, scuse da parte della lega, provini. Non si è mai arreso comunque, continuando a lottare per la sua carriera e come attivista per i diritti dei neri.
2018: buca vincente
A volte capita che uno sport di nicchia conquisti improvvisamente una fetta di tifosi che solitamente non lo seguono. Che tanti di questi si appassionino, seguano le gare, commentino al bar pur conoscendo poco le regole, che qualcuno decida anche di provare a praticare questo sport. Solitamente questo accade grazie all’impresa di un atleta che si conquista le prime pagine dei giornali sportivi e i servizi ai telegiornali in prime time. Ed è successo anche in questi 20 anni di sport.
Nel 2018 tocca al golf, con la consacrazione di Francesco Molinari. Al termine di una gara spettacolare e di un weekend perfetto, si mette alle spalle tutti gli avversari più quotati – compresa una leggenda dei green come Tiger Woods – e conquista il British Open, il torneo di golf più antico del mondo. È il primo italiano a vincere una competizione del circuito Open, un traguardo storico. Gli appassionati, quelli di sempre e quelli nuovi, lo applaudiranno ancora nel corso dell’anno, durante la Ryder Cup disputata in autunno a Parigi. Francesco guiderà la squadra europea alla vittoria del torneo, diventando anche il primo atleta a vincere tutti i match disputati (5 su 5).
2019: evviva le Azzurre!
Milioni di spettatori davanti alla televisione. Ragazzi e ragazze che esultano per il gol di Barbara Bonansea al 95′ contro la più quotata Australia. Titoli sui giornali. Partite trasmesse dalla Rai e da Sky. L’estate del 2019 è quella in cui l’Italia scopre il calcio femminile. Un vero e proprio – meritatissimo – boom di attenzioni, conquistato grazie ad una squadra che sa entusiasmare. Sarà stata anche complice la fame di grandi eventi degli appassionati di calcio, scottati dall’esclusione degli azzurri dai Mondiali del 2018. Ma soprattutto è merito delle ragazze allenate da Milena Bertolini. Che si spingono oltre i propri limiti, con talento, forza del gruppo, organizzazione di gioco.
La loro corsa si fermerà ai quarti di finale, contro l’Olanda che sarà poi finalista – sconfitta dagli Stati Uniti. Ma il risultato resta un traguardo storico per le azzurre, conquistato in un mondiale francese perfettamente organizzato, giocato in stadi pieni e con un seguito di pubblico oltre ogni aspettativa e oltre questi 20 anni di sport. La speranza è che per il movimento del calcio femminile in Italia sia stato solo un punto di partenza verso una considerazione maggiore e grandi traguardi.
2020: l’anno in cui si fermò lo sport
Il 2020 chiude 20 anni di sport nel peggiore dei modi. L’inizio è tragico: il 26 gennaio muore tragicamente in un incidente in elicottero Kobe Bryant, insieme alla figlia tredicenne e altre sette persone. Icona sportiva e uno dei migliori di sempre in NBA, aveva saputo conquistare tifosi in tutto il mondo e non solo tra gli appassionati di basket.
Ma la data in assoluto più simbolica per lo sport in questo 2020 difficile è il 24 marzo. Dopo settimane di dichiarazioni contrastanti e consultazioni febbrili, mentre il mondo intero sprofonda nell’incubo della pandemia di Covid-19, un comunicato congiunto del CIO e del Comitato organizzatore dichiara ufficialmente che i Giochi Olimpici di Tokio sono stati rinviati. Prima di allora, soltanto le due Guerre Mondiali avevano impedito lo svolgimento delle Olimpiadi.
Il 30 marzo un nuovo comunicato annuncia che i Giochi sono riprogrammati dal 23 luglio all’8 agosto 2021, 364 giorni dopo quanto originariamente pianificato. L’augurio è che possano essere una grande festa di sport e un simbolo della tanto attesa ripartenza dopo un anno difficile, per regalarci altri 20 anni sport da ricordare.
Simone Sciutteri