Ci sono dei momenti, nel bel mezzo della giornata, che si presentano, come dire, vuoti: nulla da fare, nessuno con cui parlare e, non era mai successo, guarda: né libro né musica nello zaino. E va così… che ci si ritrova all’ interno di una metro, tra confusione, suonerie di cellulari che sembrano orchestrati tra loro da un direttore ubriaco, sguardi persi nel vuoto e dita che scorrono pagine di agende piene.
E si deve stare attenti, attente a quei momenti: la noia, non è proprio la compagna di viaggio ideale. E bisogna inventarselo, il rimedio. Bisogna inventarsela, o meglio, tirarla fuori quell’idea che può fare di un normale, routinario tragitto in metro, una vera e propria genialità! Ognuno con quel che ha, con quel che sa fare o che vorrebbe imparare a fare, con quel che pensa, con quel che gli, le viene proposto dal mondo. Anche con una innocente spontaneità.
Come ha fatto il fotografo londinese Matt Crabtree, che ha fotografato passeggeri e passeggere della metro presi, prese dalle loro cose, dai loro pensieri e dalla loro musica: e lo ha fatto riproponendone l’immagine come se fossero tratti da quadri del ‘600. Ed è riuscito benissimo nel suo intento: una donna che legge e che appare totalmente lontana, separata anche dal sedile su cui è seduta; un ragazzo ritto sulla schiena che sembra di aspettare chissà quale sentenza, chissà quale giudizio; un signore evidentemente esasperato; una ragazza che, si direbbe, in estasi e che chissà con chi o con cosa la collega quel filo: non si può credere che lo faccia solo con l’mp3.
Tutto con luce e prospettiva spettacolari, talmente tanto spettacolari, che sembra impossibile si tratti di uno scatto, di uno scatto di un secondo. E per giunta, effettuato senza la collaborazione (cosciente) dei soggetti. Perché un pittore che ritrae volti ed espressioni ed atteggiamenti, ha il tempo dalla sua parte: quello necessario per conoscere chi ha davanti, per intuirne lo stato, indovinarne i pensieri e sfiorarne e riprodurne quel tocco di colore quasi impercettibile, quello che ognuno porta con sè, in sé, come tratto distintivo. Chi dipinge, ha tutto questo a sua disposizione ma Matt Crabtree, a quanto pare, con sè ha solo la sua macchina fotografica.
Il tempo, per lui, è dettato dal secondo, dall’attimo che deve bastare per riconoscere, centrare e fermare con uno scatto un sentimento, un’emozione, un pensiero, di chi sta andando a lavoro o a lezione mentre vorrebbe essere chissà dove, chissà con chi. Questione di un istante, questione di uno sguardo che affascina o di una postura che incuriosisce. Questione che la qualità delle foto, non dipende solo dalla macchina fotografica ma soprattutto da chi la utilizza, delle mani che ne giostrano la posizione e dall’ idea, dall’ingegno che caratterizzano la mente di chi scatta la foto. Come fa il pittore con i suoi strumenti da lavoro.
Perché l’arte, in ogni sua forma e rivelazione, lo sa che chi vuol cogliere la bellezza, non deve allontanarsi poi tanto da occhi, bocche, corpi ed esistenze. E non deve allontanarsi molto neanche da quell’accenno di colore, che sembra stonare col resto, che non appare conforme all’opera nella sua interezza, che appare quasi come un errore, come una distrazione dell’ artista, mentre invece, corrisponde proprio a quella pennellata tirata lì, con un colore che non deve avere significato per nessuno se non per chi lo vive e che lo porta con sè, e ne fa una sua caratteristica, un suo tratto, una sua particolarità. Che tele e foto, come l’Arte da sempre ci insegna e come ci insegna anche il fotografo Crabtree (col suo lavoro 16th Century Tube Passengers), possono riconoscere, cogliere e riprodurre. E meno male che possono farlo: in questo modo, ce lo ricordano che la posa più bella, più adatta per una foto, è quella di chi non se lo aspetta, di chi è sorpreso, sorpresa, o di chi, fino alla fine, non ne è neanche consapevole dell’obbiettivo su di sé. E ci ricordano che, ritocchi e foto shop di qualsiasi genere, poco valgono davanti alla bellezza, all’ opera d’arte che ciascuno di noi rivela al mondo. Anche a quel mondo, tentato dalla noia, che viaggia all’ interno di una metro.
Deborah Biasco