La prigione, un viaggio verso il suicidio

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Nella vita di molte persone la giornata si divide tra abitudini e scoperte. Pensare di doverle abbandonare di punto in bianco toglie il fiato, toglie tutte le sicurezze, toglie la libertà. Questo è solo quello che posso immaginare su tutti coloro che devono abbandonare la vita per entrare in quelle stanze con le sbarre. La prigione. Non si può parlare di una cosa senza sapere realmente di cosa si parla. E facile dire che se la meritano, ancora più facile augurargli di marcire li dentro. Purtroppo a volte, anzi troppo spesso, questi auguri si realizzano. Sono sempre di più le persone che scelgono la via della morte auto inflitta anziché restare in quelle condizioni.

Le statistiche parlano chiaro nel 2014 erano 44 suicidi, nel 2015 erano 43, alla fine di aprile erano 12 morti, 302 tentati e 2278 atti di autolesionismo. Il problema non si può racchiudere in motivazioni personali di ogni singolo suicida e credere che ogni storia sia isolata. L’ambiente è il fattore chiave di queste scelte. Il ministro degli interni Andrea Orlando ha espresso la sua opinione a riguardo: “ Un carcere organizzato cosi come oggi non serve nemmeno per garantire la sicurezza. Il carcere costa ogni anno 3 miliardi di euro e l’Italia è il paese con la recidività più alta d’Europa. Chi invoca il carcere in nome della sicurezza in realtà cavalca una società ansiosa e propina una truffa.”.

Il sovraffollamento delle carceri, problema più volte nominato ma mai affrontato, non aiuta. Il numero massimo di detenuti che posso essere ospitati è di 50000 e il numero di coloro che invece alloggiano in prigione è di 54000, con questi numeri il problema si mette subito in luce. Il carcere oltre a togliere la libertà deve permettere ad una persona che ha sbagliato di capire dove e perchè lo ha fatto. Il carcere dovrebbe aiutare un futuro reinserimento nella società e non spingere a rifare i propri errori per mancanza di alternative. Il metodo punitivo che viene adottato ora rimette in libertà persone che non avendo imparato nulla da questa esperienza e avendo bisogno si ritrovano a ricominciare tutto da capo, considerando anche l’isolamento in cui si trovano appena usciti da quelle mura.

Io non so di cosa parlo, io non posso nemmeno immaginare ciò che si prova nel perdere la libertà. Io non ho mai avuto bisogno di eccedere a tal punto da costringere le autorità a togliermela. Io però sono convinto che le persone vanno comunque trattate come tale, mettendogli a disposizione le strutture adeguate per loro e non portarli a voler morire in quel posto. Se non si può garantire almeno questo allora anche lo Stato Italiano ha la pena di morte.

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