Il politicamente corretto sta continuando a tracciare il suo solco, imperterrito e ineluttabile. In queste ultime settimane abbiamo assistito ad un processo di rimozione della cultura. Film tacciati di razzismo, serie tv rimosse per l’utilizzo del blackface e monumenti deturpati. A proposito di ciò numerosi intellettuali hanno firmato una lettera aperta per esprimere il loro disappunto nei confronti di quella pericolosa deriva che in America prende il nome di “cancel culture”.
Il termine “cancel culture”
Il termine “cancel culture” si usa per lo più nel mondo dei social e si intende un fenomeno per cui si scredita, o si mette alla gogna mediatica, una persona sulla base di comportamenti o dichiarazioni considerate inopportune. Che sia tramite post, o tramite servizi televisivi, l’importante è l’accusa pubblica, che tutti lo sappiano. L’accusato non solo viene allontanato dal dibattito, ma anche dal mondo lavorativo (di questa ben nota tendenza si è riportato ad esempio il licenziamento di Hartley Sawyer).
Una lettera aperta contro la “cancel culture”
Sulla rivista Harper’s qualche giorno fa è comparsa una lettera aperta, firmata da 150 intellettuali tra scrittori, registi ed editori. La lettera è una vera e propria risposta alla “cancel culture”, una tendenza che potrebbe mettere a rischio la storia, la libertà di espressione nonchè l’identità di un popolo. I firmatari sono numerosissimi e di ideologie politiche differenti, cosa che sicuramente accentua la portata di questo documento. Tra i nomi più rilevanti possiamo citare:
- Noam Chomsky
- Malcom Gladwell
- Garry Kasparov
- Anne Applebaum
- J.K. Rowling
- Margaret Atwood
- Thomas Chatterton Wiliams
Nella lettera redatta si fa riferimento all’intenzione unanime di far fronte ad una ondata di “forze illiberali“ che stanno mettendo alla prova il dibattito e la fertile circolazione di idee. Le proteste contro il razzismo, scrivono, stanno portando avanti “sacrosante richieste di riforma della polizia”. La situazione attuale, ormai critica, è dovuta ad un eccesso di moralismo culturale e politico, che ha portato gradualmente ad una restrizione di pensiero. In tutto questo il governo Trump non ha aiutato, anzi sta senz’altro alimentando tali atteggiamenti.
La paura, che ha spinto questi intellettuali ad esporsi mediaticamente è quella che si venga ad annullare la possibilità di un dibattito, di critica, di dialogo con chiunque la pensi in modo diverso. Anche la possibilità di provocare e di fare satira è lecita, in un contesto sociale non dovrebbe essere condannabile.
Noi sosteniamo l’importanza di una dialettica e di un contraddittorio espressi con forza e anche taglienti, per tutti. Ma è diventato troppo normale sentire richieste di tempestive e dure punizioni in risposta a quelle che vengono percepite come sbagli di parola o di pensiero. (…) Ci sono stati redattori licenziati per aver pubblicato articoli controversi, libri ritirati perché non abbastanza “autentici”; giornalisti a cui è stato vietato scrivere di certi temi; professori che subiscono indagini per aver citato certe opere letterarie a lezione; ricercatori licenziati per aver condiviso uno studio accademico pubblicato su una ricerca scientifica; dirigenti e manager fatti fuori per quelli che a volte sono solo goffi errori.
Le critiche alla lettera
Generalmente l’iniziativa è stata ben accolta nella società americana. Le critiche presenti sui social sono comunque moderate. Le principali critiche mosse sostengono che coloro che difendono la libertà di espressione in realtà agiscono ostacolandola: essi, secondo le critiche, rappresenterebbero una minoranza, un elites di “uomini, maschi, bianchi e privilegiati”. I 150 intellettuali rappresentano, in verità, un vero e proprio gruppo eterogeneo: sia politicamente che culturalmente che etnicamente.
Un ulteriore spunto di critica è nato tra i firmatari della lettera: alcuni intellettuali infatti si sono pentiti di aver firmato dopo aver saputo che avevano partecipato colleghi coi quali sono in disaccordo. Scelta che personalmente risulta contraddittoria con il significato della lettera: il bisogno di mantenere un dialogo e la circolazione di idee, a prescindere da chi sia l’interlocutore. Malcom Gladwell, in risposta a delle critiche sui social, ha risposto nel merito, in modo molto onesto:
I signed the Harpers letter because there were lots of people who also signed the Harpers letter whose views I disagreed with. I thought that was the point of the Harpers letter.
La forza di questo “movimento” è la sua diversità. Al suo interno le idee, tante e diverse tra loro, possono coesistere, così come le persone possano convivere a prescindere da ciò che sostengono.
Jacopo Senni