Portatemi a Londra! Lì non ci sono mega cartelloni raffiguranti modelli di corpi a cui somigliare né gigantesche locandine che propongono ciò che la società che guarda, che decide, che seleziona, vuole, pretende da me, da noi. Portatemi a Londra! Perché il sindaco Khan ha avuto il coraggio di porsi contro la potente arte persuasiva della pubblicità vietando che per strada vengano affissi manifesti dove la bellezza viene stereotipizzata e ridotta a numeri: taglie, peso e misure.
Portatemi a Londra! Perché lì le ragazze si sentiranno libere di uscire di casa, andare al mare, sdraiarsi in un parco senza il timore di scontrarsi con la venere di turno che ricorda come è bene essere, anzi, come è bene diventare. Portatemi a Londra! Perché lì ha vinto la Persona, ha vinto il Corpo, ha vinto la gioia di essere chi si è, senza frustrazioni e senza pressioni provenienti da un mondo che sembra ruotare attorno a canoni, schemi e rigorosi parametri.
Portatemi a Londra! Perché lì passeggiare per le strade o sostare al semaforo rosso non significa correre il rischio di confondere la moda con l’originalità di ogni Persona, la tendenza con le caratteristiche che rendono ognuno di noi unico ed irripetibile e lo stile con l’infinito, la complessità che c’è in me, in te, in tutti e in tutte voi.
Cosa ha fatto la pubblicità? Cosa è riuscita a fare? Aveva ragione Pasolini: “Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi” (Corriere della Sera, 9 dicembre 1973) . La pubblicità ci ha affascinato, attratto e plagiato, e lo ha fatto con una perversa bravura: non ce ne siamo nemmeno accorti. Ed ora, risulta quasi difficile credere che attraversare Londra significa non incontrare più seni, glutei e addomi statuari ed impossibili. La pubblicità ci ha contagiato con convinzioni che non sono le nostre, meglio, non lo erano; ci ha intimorito con la proposta di modelli a cui somigliare per non essere diversi, diverse da chi e da come lei stessa ci vuole. E abbiamo ceduto. Abbiamo accontentato la pubblicità, quella che pretende di omologare e di accaparrarsi così la fiducia di chi non si riconosce più se non in ciò che essa stessa presenta.
Già, aveva ragione Pasolini. Siamo diventati schiavi, schiave di idee non nostre, di desideri che non abbiamo maturato noi, di logiche illogiche perché non conformi alla realtà, alla nostra realtà. E tutto è diventato un film, una locandina, uno slogan: anche la Vita stessa. E dico Vita per dire Corpo, per dire Volto, per dire Io, Tu. Dico Vita per dire Persona. Siamo diventati lifting, digiuni e strazi fisici di ogni tipo. Siamo diventati pelle sempre giovane come se il Tempo vissuto fosse una vergogna. Siamo diventati pance piatte, glutei sodi e gambe snelle come se tutto dipendesse da ciò che la bilancia lamenta e reclama. Siamo diventati chi non eravamo prima di accettare il richiamo della pubblicità. Prima di accoglierne le pretese e prima di accontentarle, anche al costo di annullare la nostra Identità.
Portatemi a Londra… anche se corretto sarebbe dire: togliete questi cartelloni da ogni muro, da ogni città, da ogni parte del mondo e lasciateci liberi, libere di mangiare un gelato per strada senza che la modella di turno ci ricordi che per avere un corpo perfetto bisogna riempirsi lo stomaco di insalate e cetrioli. Lasciateci liberi, libere, di andare al mare senza la paura di non essere all’altezza di quelle locandine: l’unica altezza a far paura, al massimo, deve essere quella del mare stesso. Lasciateci liberi, libere di assaporare la vita, la giovinezza ed ogni nostra età. Lasciateci liberi, libere, di piacerci perché siamo chi siamo, perché siamo come siamo e lasciateci liberi, libere di gioire pensando che è meglio peccar di gola ché peccar contro la vita. Togliete quei cartelloni pubblicitari, abbassate i microfoni, scendete dai pulpiti e lasciateci vivere in pace con noi stessi, con noi stesse, senza bombardarci di messaggi e di richieste che confondono e scoraggiano e intimoriscono.
Benedetto sia il Corpo. E benedetta sia la società che lo protegge e lo onora. E che lo lascia libero.
Deborah Biasco