Ebbene si, esiste una cultura dello stupro. E’ una cultura radicata all’interno di noi, appiccicata, come se fosse una seconda pelle.
_Sfoggiavo la mia cultura dello stupro a sei anni, quando, nel corridoio della scuola, il mio compagno di classe mi spingeva giù dalle scale. Mi slogai la caviglia. Ricordo il mio pianto ininterrotto, e il dolore, che mi pulsava in testa, annebbiandomi la mente.
“Bambina mia, ma cos’avrai mai detto al tuo compagno, per farlo adirare così?”
Cos’avrò mai detto?
_Sfoggiavo la mia cultura dello stupro nello stesso modo in cui indossavo le mie mutandine costose, con il pizzetto rosso, sotto ad un paio di pantaloni attillatissimi bianchi, una delle tante sere in cui tentavo disperatamente di farmi notare da lui.
Di cose stupide noi ragazze ne facciamo tante, è vero.
_Portavo il peso della cultura dello stupro come un nodo in gola, difficile da mandare giù insieme a un grumo di saliva; anche quelle sere a cena, quando lo zio bofonchiava sputacchiando sotto i baffi, che le donne stuprate se la vanno a cercare. Chinavo il capo sul piatto, tentando disperatamente di nascondere il mio cocente imbarazzo.
Ancora non so se odiassi più lui, o me stessa.
Scorrevo mentalmente l’immagine del mio corredo intimo, nell’armadio, ben nascosto, al riparo da sguardi indiscreti; e mi chiedevo cos’avrebbe pensato di me, della sua dolce nipotina.
La verità è che non ho mai voluto spendere un’esistenza ad essere nient’altro che cibo per i poveri, merce avariata, un corpicino a basso costo, carne fresca, quella che trovi in svendita al supermercato; solo per chi è davvero affamato. Non ho mai voluto sentir parlare delle mie cosce, del mio pube.
Non ho mai voluto sentir parlare del mio sapore, non ho mai voluto essere un bersaglio, il premio di consolazione di una partita di poker.
Non sono nata per essere una vittima, e non accetto che mi si dica che, noi donne siamo esseri deboli, nate con due cromosomi X nel corredo biologico. Che siamo destinate ad essere prede invisibili, oggetto del desiderio di un cane affamato. Non ho scritto “fragile” nel DNA, e non sono venuta al mondo per osservare allo specchio i miei fianchi allargarsi, sempre più, il mio corpo ammorbidirsi come burro al sole, pronto per accogliere una nuova vita all’interno, biologicamente portato a partorire. Non accetterò mai di essere geneticamente predisposta a non essere una combattente. Perchè noi donne siamo anche guerriere, e lo dimostriamo giorno dopo giorno.
Uno stupro è comunque uno stupro.
_Uno stupro è alzarsi la mattina, e ritrovarsi parti di quell’uomo dentro di te. Un pezzetto del suo ginocchio, proprio lì, incastonato nella mia coscia, i segni dei suoi denti nella mia carne.
_Uno stupro è un lavaggio continuo di lenzuola, perchè ci sarà sempre qualcosa, quella piccola macchia, che ti farà rimbombare i ricordi in mente, come un tuono, quella macchia, che t’impedisce di stare in pace con te stessa.
_Uno stupro è non riuscire più ad indossare quel vestitino rosso che ti stava tanto bene, senza sentirti sporca. Uno stupro è coprire i segni rimasti sulla pelle con un fondotinta che non è del colore della tua naturale carnagione. Uno stupro è buttare via quelle mutandine, pensando che forse, tuo zio, non aveva tutti i torti.
Non voglio sentir parlare del mio sapore, non voglio soffocare il mio corpo sotto lenzuola violate, non voglio graffiarmi il ventre la notte, da sola, osservando schifata il mio riflesso allo specchio, con due pupille sanguinanti. Non voglio farmi del male. E non voglio neanche sentirmi dire che sono stata fortunata, perchè quella sera erano in tre a spogliarmi, con la bava alla bocca, strafatti di chissà cosa; perchè dentro di me, in fondo, ci stava solo una mano, o forse più di una. Cosa vuoi che sia. Forse avrei anche dovuto ringraziarli, era una bravata del sabato sera, domani sarà tutto passato.
Questo era quello che pensavo.
Ma in fondo non sono nient’altro che un essere debole. Nulla è mai abbastanza.
Nulla è mai abbastanza, perchè verranno anche a giustificarmi lo stupro, dicendomi addirittura che sei mesi di carcere sono davvero troppi per un povero ragazzo, nel fiore degli anni. E’ tutta colpa dell’alcool, della nottata brava, del sabato sera. Nulla è mai abbastanza, perchè verranno ancora a definirmi lo stupro come una bravata da sabato sera. Lui era un mangiatore di bistecche sempre sorridente, e io proprio non credevo di profumare di manzo.
Non possiamo rovinargli la vita a causa di un piccolo ed innocente errore, durato una ventina di minuti.
Questo è quello che le mie pupille color miele si ritrovano a leggere, in un articolo pubblicato da Wired, (http://www.wired.it/play/cultura/2016/06/07/stupro-turner/) nella giornata di oggi. Mi giustificheranno lo stupro, perchè io, essere infinitamente inferiore, neanche esisto.
Accade negli Stati Uniti, e ciò che fa riflettere maggiormente, è che si tratta niente meno di una lettera, scritta di pugno dal papà dello stupratore, il povero Brock, un campione, distrutto da un’ingiusta sentenza del tribunale.
Inorridita e basita, rifletto su quanto sia incredibile l’egoismo umano, e l’educazione impartita a tali ragazzi, cresciuti dai loro genitori a pane e narcisismo.
Questa è, in breve, la storia di Brock Turner.
E’ la storia di un campione che sta vivendo un momento difficile, e subendo una punizione ingiusta, per soli 20 minuti di stupro sabatoserale. E’ la storia di un ragazzo per bene, un così detto maschio alfa, sempre il sorriso sul volto, e che, secondo il papà, dovrebbe proprio andare nelle scuole, ad impartire lezioni di binge drinking, spiegando quanto questo possa portare a conseguenze catastrofiche. Sarebbe di certo molto credibile come educatore studentesco. Penso che rimarrei appesa nel mio cocente dubbio, se prenderlo a sassate, o lanciargli in faccia il suo amato manzo.
Ma in realtà so che non farei nulla. Rimarrei impietrita, paralizzata dall’ignoranza umana, e rivolgerei un pensiero a quella povera ragazza invisibile, che quella sera è stata assaggiata, aperta, e poi gettata, dietro a quel cassonetto. Perchè di certo Brock non ricorda il suo sapore, ma lei come sta?
Si starà forse graffiando il ventre davanti allo specchio, con le pupille insanguinate, e l’anima sventrata?
Ditemi ora, se davvero tutto questo può non esistere.
Elisa Bellino