La firma di Paolo Virzì torna sui grandi schermi con un film che è una miscela di vita e cinema, di ironia e dolcezza, di pensieri ed emozioni in grado di coinvolgere a pieno lo spettatore.
Presentato e accolto con notevole successo nella sezione Quinzaine del festival di Cannes, “La pazza gioia” è la storia di due donne, Beatrice Morandini Valdirana e Donatella Moretti, che si scoprono complementari come il sole e la luna: tanto loquace e travolgente l’una quanto introversa e diffidente l’altra.
L’empatia e la complicità spontanea che le lega nasce in una casa di cura e si rafforza durante una folle fuga dalla comunità terapeutica: via dall’ oppressione, verso i desideri.
Per le perizie psichiatriche Beatrice non é altro che una paziente difficile vittima di isteria. Per gli operatori giudiziari, Donatella è un soggetto ad alto grado di pericolosità che, a causa della sua depressione, non ha neanche il diritto di essere madre. Ma queste due donne sono molto di più: forse deluse e spaventate ma soprattutto ricche di forza e di autenticità.
Tradite dalla famiglia, dai loro uomini, dalla società, conservano ancora i loro sogni e la forza di intraprendere un’ avventura che ha come unica meta la felicità.
“Ma dove si trova la felicità? Nei posti belli, nelle tovaglie di fiandra, nei vini buoni, nelle persone gentili…”
L’evasione è per loro un percorso di crescita interiore, un tentativo di riscatto, un’occasione per riprendere in mano la propria vita, per chiudere i conti con il passato.
Gli spettatori più attenti avranno forse notato che due delle scene cruciali sono state girate al mare, simbolicamente proiezione della libertà. La rinascita che esso rappresenta è però molto diversa nei due casi, proprio per via della profonda maturazione personale che vi intercorre.
La pazza gioia di essere se stessi è quella coinvolgente sensazione di euforia nello scoprire che la normalità è indefinibile, nel constatare che non sono le diagnosi o i referti a definire il nostro rapporto con gli altri e con la nostra identità.
Ogp, Tso, magistratura di sorveglianza, servizi sociali: ecco solo alcuni dei difficili temi sociali che Paolo Virzì porta sotto gli occhi di tutti, presentando una tematica pesante in modo leggero, alternando toni umoristici a scene poetiche.
“La terapia è l’ amore. E questa è la lezione che ho imparato facendo questo film.”
Cosí il regista livornese sembra suggerirci che l’ unica cura possibile ai traumi a cui ci sottopone la vita sia il sentimento umano, il suo calore.
Ed è questo il cinema italiano che, impreziosito dalle ammirevoli interpretazioni di Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, vuole e sa arricchire il proprio panorama e la sensibilità del proprio pubblico.
se calore e sentimento guariscono i casi di disturbi psichici allora invito tutti a riflettere su questa assurdità. Il film di Virzì poggia sulla bravura delle attrici e in quanto a contenuti mi sembra aderente ai tempi in cui viviamo. Tempi ridicoli che falsano le difficoltà
Ogni prova viene intrisa di buonismo e il bene trionfa, come diceva Verdone, un tempo