Ascolta la tua rabbia e fanne energia

Jean-Claude Chincherè, Surrounded, 2013
Jean-Claude Chincherè, Surrounded, 2013

 

Vedrai, vedrai,
vedrai che cambierà,
forse non sarà domani
ma un bel giorno cambierà.”   Luigi Tenco

Te l’avevano detto, te l’hanno detto e ricordato tante volte che non sarebbe stato facile, che la vita non sarebbe stata semplice. E pensavi di essere pronto, eri certo di aver studiato per bene la teoria che t’avrebbe permesso di affrontare al meglio la pratica. Sicuro e fiducioso, hai accettato la sfida. Hai accolto il richiamo. Hai pronunciato il tuo nome e mosso i tuoi passi. Per poi renderti conto che, alle volte, è veramente dura procedere mantenendo l’equilibrio. Quante ne hai vissute? A motivo di quante tempeste, sei stato costretto a correre alla ricerca di un riparo? Quante ferite, sul tuo stesso corpo, hai medicato, consapevole che le cicatrici sarebbero rimaste. E forse, chissà, è bene che sia così: perché le cicatrici e i lividi che ci portiamo dietro, raccontano senza alcuna omertà e senza alcuna alterazione chi siamo stati e chi siamo diventati. Gli album fotografici riportano i cambiamenti del nostro sorriso nel corso del tempo, i segni che la vita lascia, invece, testimoniano lo scorrere delle nostre lacrime, la stretta dei nostri pugni e le contrazioni del nostro stomaco. Non far finta di non averne.

Se così fosse, non saresti chi sei. E se non avessi vissuto quello che è stato, non saresti dove sei. “Tutta la catena di fatti che a te sono noti, a te soltanto, dice quel che dice; se non fossi passato per là non saresti qui”, scrive Giovanni Bongo. E scrive il giusto. E sono certa che se potessi tornare indietro, rifaresti tutto quello che hai fatto: le stesse decisioni, le stesse svolte, le stesse testate contro gli stessi muri di cemento, gli stessi tentativi, le stesse resistenze e gli stessi percorsi. Perché eri tu e non tradiresti mai te stesso con l’immagine di un altro: in fondo, tu, non hai mai cercato la perfezione e anche quando qualcuno te l’ha indicata lì, a pochi passi da te, ti ci sei avvicinato cercando i difetti. E li hai trovati. Ed ora ti restano quelli da raccontare. Ma non solo quelli. E ti aggrappi alle parole, ai pensieri di coloro che hai letto, che hai cantato, ed ogni citazione è quella giusta se rispecchia il tuo stato, la tua stanchezza e se può ricordarti, in qualche modo, che la partita non è ancora terminata.

Non aspettarti che io ti consigli di guardare chi sta peggio di te: non si utilizzano le persone a scopo funzionale né il malessere o il dolore altrui possono fungere da consolazione a chi deve alleviare già i suoi.

Cosa ho da dirti? Arrabbiati. Sì: arrabbiati. Perché la rabbia è la prova della tua esistenza non passiva, delle tue aspettative deluse e del tuo futuro che non accetta di diventare presente. Arrabbiati. “La pazienza è la virtù dei morti”, dice la poetessa Nazik al-Mala’ika, e tu non lo sei. Dimostralo a te stesso di non esserlo. Resta pure lì dove sei, non far nulla fin quando non ti sembrerà giunta l’ora di far qualcosa, non pensare, non ricordare. Come ubriaco. Sì. Ubriaco della tua rabbia, fino a non reggerti in piedi, fino a non riuscire a vedere chiaramente davanti a te, fino a non esser capace di esprimere la tua stessa rabbia.

E libero. Libero di accasciarti, libero di piangere, libero di urlare. Perché la rabbia è anche liberazione. E si deve essere liberi per poter riprendere, per poter rimettersi all’opera, per poter ritrovare la concentrazione. E tutto questo lavoro, tutta questa fatica, tu li devi accettare per te. A fin di un bene che sia tuo, di una stagione che sia come quella che hai sognato la notte scorsa e di un nuovo capitolo di una storia che è la tua e di cui non cambieresti nulla, neanche un verso. E dì la verità: quando ci pensi, quando ricordi quello che è stato, quello che è avvenuto, tutto quello che hai vissuto, non riesci a trattenere il sorriso, perché a tutti i romanzi che hai letto, tu preferisci la tua storia. Anche quando ti sembra sbagliata. Anche quando fai fatica a continuare a scriverla, perché mancano le parole e perché non trovi ispirazione: arriveranno. Non so dirti come e quando… ma cambierà. Perché tutto torna sempre al suo posto, secondo un ordine originario. Tu, però, non dimenticare di metterci del tuo. Ché la vita, da sola, magari non ce la fa. E non chiederti se ne vale la pena e né per cosa o per chi devi farlo. Come cantava De Andrè: “perché i ciliegi tornassero in fiore”. Semplicemente, fallo per i tuoi ciliegi. 

 

Deborah Biasco

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