Judy Garland, una delle attrici più celebri del panorama cinematografico, oggi avrebbe compiuto cento anni.
Film e performance indimenticabili, prestigiosi premi, hanno fatto da cornice in una vita ricca di tormenti e incubi.
L’uragano del successo
Judy Garland, il cui vero nome era Frances Ethel Gumm, nacque – il 10 giugno 1922 – già attrice. I genitori, entrambi attori, spinsero lei e le sorelle a intraprendere la loro stessa carriera.
Fin da piccola, Judy dimostrò di avere particolari doti interpretative e vocali, che le permisero di fare strada nel canto e nel ballo. Debuttò al cinema nel 1929, con il film “The Big Revue”.
Tra i 16 e i 17 anni, con alle spalle già una dozzina di film, Judy prese parte a uno dei film più importanti della storia del cinema, “Il Mago di Oz” (1939), vestendo i panni della protagonista, Dorothy.
Per questo ruolo era necessaria un’attrice molto giovane, ma con una comprovata esperienza. Judy Garland, grazie alla sua esperienza decennale, venne scritturata per il ruolo, per il quale era stata pensata anche Shirley Temple .
Questa sarà l’interpretazione che la renderà la regina del musical degli anni Quaranta.
“Segui il sentiero dorato”
I musical ricoprirono un ruolo importante nella carriera dell’attrice. Infatti, dopo il “Mago di Oz”, il secondo ruolo più importante della carriera di Judy Garland fu quello di Esther Blodgett nel film “A star is born” (1954), che la portò a vincere l’Oscar come migliore attrice protagonista. Nel 1961 ricevette una seconda nomination per il film “Vincitori e vinti”.
Judy Garland si impegnò anche nel panorama musicale, con la pubblicazione di otto album, le nomination agli Emmy e la vincita di diversi Grammy.
Con oltre 35 film sulle spalle, Judy Garland è ancora oggi ritenuta una delle maggiori intrattenitrici americane del ventesimo secolo. Il suo impatto sulla cultura americana si evidenzia nella profonda influenza che Judy esercita sul cinema, sulla televisione, sulla musica e sul teatro.
Negli anni, inoltre, è stata adottata dalla comunità Lgbtq+ come vera e propria icona gay, in particolare per l’aspetto androgino, che la stessa Judy incentivava grazie alla scelta dell’abbigliamento.
Oltre l’arcobaleno
La carriera di Judy Garland è stata colorata, un po’ come l’avventura di Dorothy ne “Il Mago di Oz”. Ma, proprio come accade alla giovane protagonista quando torna nel Kansas, quando Judy si allontanava dai riflettori del successo, il mondo suo tornava in bianco e nero. Quando, nel 1935 – a soli 13 anni -, Judy Garland venne scritturata dalla MGM iniziò anche una lenta discesa nell’uso delle droghe. Anche la madre la incoraggiava, in questo modo avrebbe mantenuto il massimo rendimento sul set. Le anfetamine le venivano date direttamente nello studio della MGM, con lo scopo di vivacizzare le sue esibizioni. E presto divennero il suo sostegno principale. Così, l’utilizzo di sostanze stupefacenti iniziò a giocare un ruolo fin troppo importante nella vita di Judy Garland.
Un altro mostro presente nella quotidianità dell’attrice fu l’ossessione per il corpo magro. Furono gli stessi produttori a vessarla. Judy era continuamente sottoposta a controlli del peso, era costretta a seguire una rigida dieta fatta di zuppa di pollo e caffè nero, ed era incoraggiata nell’abuso di sigarette e pillole per sopprimere l’appetito. Tutto per assicurarsi che non prendesse peso e che si mantenesse negli standard fisici dell’epoca.
Uno dei primi commenti sul suo corpo arrivò direttamente da un dirigente dello studio:
Sembri un gobbo. Ti amiamo ma sei così grassa che sembri un mostro.
La stessa madre era solita chiamarla “la mia piccola gobba”, facendo riferimento alla scogliosi di cui soffriva.
Judy fu anche molestata sessualmente e perseguitata da co-protagonisti adulti che non accettavano il trattamento da star che le veniva riservato.
Questi abusi, fisici e psicologici, la resero una ragazza estremamente insicura delle proprie capacità, che già durante i 20 anni iniziò ad abusare di alcolici e a soffrire di esaurimenti nervosi. Uno dei più gravi le arrivò dopo il flop del film “Il pirata”, dando inizio a un uragano che la travolse, insieme al consumo continuo di droghe e alcol e a periodici ricoveri e cure dimagranti, e la portò a tentare il suicidio numerose volte.
Una bufera di neve
La stessa Judy disse:
A volte mi sembra di vivere in una bufera di neve.
Il dolore, le insicurezze e il tormento l’avvolsero in una vera e propria bufera, da cui neanche i legami affettivi riuscirono a salvarla.
Si sposò cinque volte, senza mai trovare pace, ed ebbe tre figli. La maggiore, Liza Minnelli, le salvò la vita numerose volte.
Judy Garland morì a 47 anni, per un’assunzione eccessiva di barbiturici. Ma il suo stato fisico non le avrebbe lasciato molto altro tempo da vivere.
Un esempio per troppe
Gli abusi subiti da Judy Garland sono stati e sono tuttora presenti nel panorama di Hollywood, dove le attrici sono costantemente vittime di body shaming.
Per sopravvivere nella “fabbrica dei sogni” le donne che vogliono apparire sul grande schermo devono scendere a patti con la discriminante realtà: se superi di qualche misura lo standard ritenuto socialmente accettabile ti verranno affibbiati ruoli stereotipati e discriminatori. Oppure starai tutta la vita a dieta, prendendo frequenti appuntamenti con chirurghi plastici e dietologi. Per non parlare della costante lotta contro i commenti sui social.
Allo stesso modo, attrici con un aspetto più simile a quello richiesto, sono perseguitate dall’idea di dover mantenere sempre il loro corpo in quel range.
Cameron Diaz e Audrey Hepburn sono due esempi di attrici che hanno vissuto con enormi paranoie sul loro aspetto fisico. Come altre, sono state vittime dell’oggettivazione del loro corpo.
La Diaz ha dichiarato che non si interessa più al suo aspetto fisico da quando ha lasciato Hollywood, mentre prima era una vera e propria ossessione. Ore e ore davanti allo specchio del camerino, poi altro tempo ripresa da una videocamera. La sua immagine e il suo aspetto fisico erano sotto costante giudizio.
Anche la Hepburn ha rilasciato una dichiarazione in merito, dicendo apertamente che la sua vittoria più grande è stata quella di riuscire a convivere con se stessa. Quindi ad accettarsi.
Un sistema da scardinare
Per certi versi, Hollywood rappresenta una grande metafora della società, che quotidianamente punta i riflettori sui corpi femminili e dà per scontato che una persona magra stia bene con il suo corpo, o che una persona più in carne non lo sia. E ancora, che il corpo di una donna debba necessariamente essere “perfetto” per essere accettato.
Le esperienze di queste attrici, di queste donne, sono testimonianze fondamentali e preziose, che aiutano a riflettere e a trovare la forza per scardinare questo sistema. Un passo alla volta.