In questo periodo in cui, indipendentemente dall’argomento, sembra che tutti sappiano tutto, chi non capisce la crisi di governo e quello che sta accadendo intorno a noi potrebbe essere intimidito nel porre delle domande apparentemente banali sulla politica nostrana. Ultima Voce, però, scalfisce il muro dei vostri imbarazzi e mentre il presidente del consiglio Giuseppe Conte si prepara a salire da Mattarella per rassegnare le dimissioni, rispondiamo alle domande che vi fareste scrupoli a porre in pubblico.
Crisi di governo: nelle puntate precedenti
Premessa per capire la situazione: Giuseppe Conte è l’attuale presidente del consiglio. Dall’autunno del 2019, presiede il governo chiamato Conte Bis, sostenuto da Movimento Cinque Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali e, fino alla scorsa settimana, Italia Viva. Di questi partiti fanno parte i ministri del governo e lo staff di sottosegretari: ad esempio Roberto Speranza, ministro della Salute, è membro del partito Liberi e Uguali, mentre Luigi di Maio, rappresentante del Movimento Cinque Stelle, è il ministro degli Esteri. Italia Viva, invece, la scorsa settimana ha ritirato i suoi ministri perché non era più d’accordo con certe mosse del governo.
Fin qui tutto chiaro? Allora possiamo procedere.
1.Perché Conte vuole dimettersi?
Allora: Conte non vorrebbe dimettersi, ma sta anticipando quello che potrebbe accadere domani, mercoledì 26 gennaio. Per domani è infatti fissato un appuntamento parlamentare (con annessa votazione) sulla relazione Bonafede. Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede (M5S), in pratica, dovrebbe parlare di come è andato l’anno giudiziario e delle nuove proposte per il periodo che si apre. La relazione è normalmente seguita da una votazione e Conte ha fatto i suoi calcoli. Alcuni partiti hanno già detto che voteranno no alla relazione sulla giustizia, quindi sa che probabilmente al Senato il governo su questo non otterrà la maggioranza. Si aprirebbe dunque la vera crisi di governo. Visti gli ultimi scricchiolii, è chiaro che il governo deve convincere altri parlamentari a votare a suo sostegno. Ma come? O cambiando presidente del Consiglio o cercando di portare al governo (ricordate i posti vuoti lasciati dalle ministre di Italia Viva?) esponenti di altri partiti.
2. Ma non aveva preso la fiducia la scorsa settimana?
Sì, ma la fiducia della settimana scorsa non ha risolto nulla. Ha semplicemente rimandato la crisi di governo. Innanzitutto, al Senato il Governo è stato appoggiato da una maggioranza semplice (e non assoluta). Cantare vittoria per numeri di questo tipo è molto ingenuo: hanno ottenuto sì qualche manciata di voti in più, convincendo qualche senatore qua e là, ma nelle votazioni successive, senza questa grande mobilitazione e pressione, il governo rischia di essere immobile. Come se, nella scelta delle vacanze, un amico vi dicesse: “Vengo con te, però poi voto contro a tutte le destinazioni che proponi o mi astengo”. Il problema? Si rimane immobili e non si approvano i provvedimenti necessari per il Paese. O per le vacanze.
3. Adesso chi diventa Presidente del Consiglio?
Bella domanda. Molti danno per scontato che Mattarella accetti le dimissioni di Conte questa mattina, ma che poi gli dia un nuovo incarico esplorativo per un Conte ter. Sì: astrattamente potremmo arrivare anche a 10, a 100 o a infiniti governi Conte, se è la vostra domanda. Il compito di Mattarella, infatti, è quello di trovare qualcuno che formi un governo. Ma non uno qualsiasi: deve essere un soggetto apprezzato trasversalmente dal maggior numero di parlamentari possibile. Potrebbe essere chiunque: alcuni da mesi invocano Mario Draghi, ma l’ex presidente di BCE non sembra interessato. La settimana scorsa altri parlavano di Clemente Mastella, democristiano doc. Conte va bene a Movimento 5 Stelle e PD, così come a Leu. Va bene anche a qualcuno di Forza Italia. Non va bene a Italia Viva (anche se ci torniamo dopo), alla Lega e a Fratelli d’Italia. In queste fasi, si cerca sempre di trovare qualche moderato, che possa trovare consensi sia da una parte sia dall’altra. Ah, non è detto che sia un politico di professione.
Sarebbe il caso di un cosiddetto “governo tecnico”: un po’ come lo era stato quello di Ciampi, negli anni Novanta, o con Monti, quasi dieci anni fa. Arriva, sceglie se avere ministri politici (come Ciampi) o tecnici (come Monti) e fa le cose che deve fare. Non piace a nessuno, solitamente, perché non risponde alle pulsioni dell’elettorato, ma fa fondamentalmente quello che è necessario. Come, ad esempio, sarebbe necessario presentare un piano credibile per spiegare all’Ue come vogliamo usare i 209 miliardi che ci vogliono dare per il piano Next Generation EU.
4. Ma quindi andremo a votare?
In teoria, potremmo. In pratica, è improbabile. E’ l’ultima spiaggia. Organizzare le elezioni, soprattutto in pandemia, non è proprio una cosa semplice, anche se molti Paesi europei, in questi sei mesi, svolgeranno le elezioni e la pandemia non sembra essere un limite. Non lo è stata negli USA a novembre, giusto? Il discorso è che, prima che Mattarella valuti di sciogliere le Camere per indire nuove elezioni, si tenterà di fare il possibile per trovare qualcuno che tenga insieme la baracca, senza buttarsi a capofitto nella campagna elettorale. Bisogna tenere presente poi che molti parlamentari stessi non vogliono andare a votare. Ricordate la riforma per la riduzione dei parlamentari su cui abbiamo votato a settembre? Ecco, molti verrebbero lasciati fuori.
In Parlamento poi esistono delle soglie di sbarramento: cioè se il mio partito lo vota solo mia zia, non entro. E’ un po’ il rischio che corre Italia Viva.
Ah, c’è pure un’altra complicazione: a fine luglio inizia il semestre bianco di Mattarella. Si tratta del periodo alla fine del suo mandato in cui un Presidente della Repubblica non può sciogliere le camere, secondo la nostra Costituzione. Quindi: se non si vota prima di luglio, si arriva praticamente senza votare anche al prossimo febbraio, quando dovrebbe insediarsi il nuovo Presidente della Repubblica. Per andare a votare, infatti, bisogna sciogliere le camere.
5. Ma non dovrebbe essere il popolo a decidere?
Ah, questa è la mia domanda preferita, ancora dai tempi del governo Monti. La nostra è una democrazia parlamentare e rappresentativa proprio perché eleggiamo i nostri rappresentanti: sono loro poi a decidere se dare o meno la fiducia a questo o a quel governo. Quando e se non trovano un accordo, allora il presidente della Repubblica scioglie le Camere (Senato e Camera dei Deputati) e veniamo chiamati in causa noi. Non prima. E dire “Ma allora non è un governo eletto dal popolo” è sintomo di grande confusione. In Italia il popolo non elegge il governo.
6. Perché alcuni partiti vogliono andare alle elezioni?
Lega e Fratelli d’Italia vorrebbero la crisi di governo e le dimissioni di Conte. Ma soprattutto vorrebbero andare alle elezioni perché, secondo quel che dicono i sondaggi, avrebbero un grande successo a eventuali tornate elettorali fatte domani, la prossima settimana o il prossimo mese. Il Parlamento, a dire il vero, si fonda ancora su votazioni fatte nel 2018 e, se Mattarella dovesse riuscire a trovare qualcuno per trainare il Governo, le prossime elezioni sarebbero eventualmente nel 2023. A meno di altre, sempre probabili in Italia, crisi di governo. Lega e Fratelli d’Italia, quindi, voteranno sicuramente no a qualsiasi figura politica di compromesso, perché il loro obiettivo è proprio il voto. E se Mattarella dovesse dare a Salvini o a Meloni la presidenza del Consiglio? Beh, complicato. Questi si troverebbero con un parlamento comunque più ostile rispetto a una nuova formazione data da nuove elezioni.
7. Chi sono quelli che non vogliono andare alle elezioni?
Molti usano lo scudo della pandemia, come già detto, per dire che non si può scatenare una crisi di governo in emergenza o per contrastare l’ipotesi elezioni. Ipotesi condivisa da molti e ragionevole, tutto sommato. Ma la politica è meno idealista: come abbiamo detto, molti resterebbero fuori dal Parlamento. Si tratta di partiti che in questi anni hanno visto il loro consenso scendere, dopo l’exploit delle elezioni del 2018. Uno di questi è il Movimento 5 Stelle, che aveva preso più o meno il 32% dei voti e ha fatto da stampella sia alla Lega, sia al Pd, che da soli non avrebbero potuto governare. Secondo gli ultimi sondaggi, infatti, i pentastellati si attesterebbero su un 14,6% di gradimento. Non malissimo, ma molto peggio rispetto al numero di parlamentari su cui hanno potuto contare grazie ai risultati del 2018.
Tra questi, comunque, anche Forza Italia non avrebbe vita facile: se si andasse al voto oggi prenderebbe il 7,8% dei voti. Ma con un Salvini al 23,4% eventualmente alleato con una Meloni al 16,5%, il ruolo di Forza Italia resterebbe più marginale. Potrebbe quindi avere meno ministri in un eventuale governo di destra e trovare meno ascolto per le sue proposte. In poche parole: contare poco.
8. Cosa significa governo di unità nazionale?
Unità nazionale, interesse nazionale, larghe intese. In pratica: trovare qualcuno che metta d’accordo tutti e non andare a votare. Fare un rimpasto di ministri, dando un po’ di sedie a destra e un po’ a sinistra, cercando di tirare avanti finché si può. Un po’ come quando nel 2013, visto che le elezioni avevano dato esito molto incerto, l’allora presidente Napolitano, dopo due mesi di trattative, aveva conferito il mandato a Enrico Letta per un governo trasversale. In quel governo c’era per esempio Angelino Alfano come ministro della Giustizia, esponente dell’allora PDL. Il vantaggio? Non si va alle elezioni. Il rischio? Le incompatibilità tra destra e sinistra sono molte e si rischia di essere allo stesso punto tra qualche mese.
9. Cosa significa “maggioranza Ursula?”
Si fa riferimento ai partiti che in Europa hanno sostenuto la candidatura a presidente della commissione di Ursula Von der Leyen. Si tratta di Pd, Leu e M5S, che già oggi sostengono il governo Conte. A questi si aggiungerebbe qualche esponente di Forza Italia, i cui voti sarebbero pochi ma provvidenziali per non staccare la spina al governo Conte. Soprattutto sul fronte europeo, infatti, Forza Italia ha poco a spartire nei suoi programmi con le visioni più nazionaliste di Salvini e Meloni. Questa strampalata compagine parlamentare potrebbe risolvere la crisi di governo.
10. Ma un attimo: Matteo Renzi?
Eh, Matteo Renzi è la grande incognita. La settimana scorsa era in rotta di collisione con Conte stesso, trasformando un dissenso politico (sul Mes e sulla gestione della pandemia in generale) in un conflitto personale. E’ improbabile che sostenga un Conte ter, ma è invece facile che sostenga un governo delle larghe intese, di interesse nazionale trainato da qualche ex democristiano. Così come molti danno per scontato qualsiasi tentativo di Renzi di non andare alle elezioni. Anche tornare con Conte, a fronte di una promessa di cambio di marcia su certe questioni. Il partito di Renzi infatti fatica a raggiungere la soglia del 3% dei consensi e le elezioni, probabilmente, cancellerebbero Italia Viva dall’emiciclo parlamentare.
Elisa Ghidini