Nonostante le leggi contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale siano state introdotte nell’Unione Europea e in Italia fin dai primi anni del 2000, l’effettiva inclusione delle persone LGBT+ sul posto di lavoro rimane un obiettivo da raggiungere, con molte persone appartenenti alla comunità LGBT+ che continuano a vivere micro-aggressioni e discriminazioni a lavoro per il suo orientamento sessuale.
Nel corso degli ultimi decenni, l’Unione Europea e l’Italia hanno fatto importanti passi avanti nella lotta contro la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e il genere nel mondo del lavoro. Tuttavia, nonostante i progressi legislativi, le persone appartenenti alla comunità LGBT+ continuano a vivere situazioni di discriminazione e micro-aggressioni sul posto di lavoro. Per comprendere meglio questa realtà, l’Istat (Istituto nazionale di statistica) e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) hanno condotto un’indagine approfondita sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBT+ in Italia.
Nel corso della prima fase dell’indagine, più di 21.000 persone unite civilmente sono state coinvolte nella rilevazione. Successivamente, l’attenzione si è concentrata su circa 1.200 persone omosessuali e bisessuali che al momento della rilevazione non erano in unione civile e non lo erano mai state in passato. Sebbene i campioni di entrambe le ricerche non siano pienamente rappresentativi della popolazione LGBT+, rappresentano comunque un primo passo fondamentale per raccogliere dati più inclusivi sulle diverse esperienze di vita e di lavoro di questa comunità.
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I risultati dell’indagine rivelano una varietà di dati interessanti. Il 79,6% delle persone coinvolte nell’indagine ha dichiarato un orientamento omosessuale, con il 55,2% che si identifica come gay, il 24,3% come lesbiche e il rimanente 20,4% come bisessuale. Queste persone, in generale, sono principalmente lavoratori dipendenti nel settore terziario, e nonostante la loro età tendenzialmente giovane, l’84,7% era impiegato al momento dell’intervista, mentre solo il 5,5% non aveva mai lavorato. Tra le ragioni principali per il non lavoro, il 43,4% ha citato lo studio o la formazione professionale come motivazione.
Un aspetto significativo dell’indagine è emerso dall’analisi delle reazioni delle famiglie e dei colleghi all’orientamento sessuale delle persone intervistate. La maggior parte delle famiglie era al corrente dell’orientamento sessuale dei loro cari, così come buona parte dei colleghi (84,3%). Tuttavia, il 31,2% delle persone coinvolte nell’indagine ha riferito di essere state vittime di outing, cioè situazioni in cui qualcuno nel contesto lavorativo ha rivelato l’orientamento sessuale della persona senza il loro consenso.
Questi episodi di outing, probabilmente, hanno contribuito al sentimento diffuso tra i partecipanti che il proprio orientamento sessuale sia stato un punto di svantaggio nella loro carriera professionale, specialmente in termini di riconoscimento e opportunità di crescita (30,8%).
Per evitare discriminazioni e molestie, il 61,2% delle persone intervistate ha dichiarato di mantenere segreta la propria vita privata, inclusa l’orientamento sessuale. Di conseguenza, molte evitano di frequentare colleghi al di fuori dell’orario di lavoro.
Un elemento preoccupante emerso dall’indagine riguarda le micro-aggressioni, che sono brevi interazioni quotidiane che trasmettono messaggi denigratori riguardo all’orientamento sessuale di una persona. L’indagine ha esaminato varie situazioni, tra cui battute offensive o allusive, richieste di informazioni sulla vita sessuale, derisione basata sull’imitazione dei modi di comportarsi, e l’esclusione del partner da eventi sociali. I risultati mostrano che circa l’80% delle persone ha sperimentato almeno una forma di micro-aggressione legata all’orientamento sessuale. Le battute offensive o allusive sono risultate essere la forma più comune di micro-aggressione, seguite dall’uso dispregiativo di espressioni lesbiche o gay.
Inoltre, circa una persona su tre ha dichiarato di aver subito almeno un atto di discriminazione durante la ricerca di lavoro, che non riguardava solo l’orientamento sessuale, ma coinvolgeva anche altre dimensioni intersezionali dell’identità, come il genere, la razza e l’orientamento religioso.
Tra i lavoratori dipendenti, le donne LGBT+ hanno riportato una maggiore incidenza di comportamenti discriminatori rispetto agli uomini. Complessivamente, il 44,2% dei lavoratori dipendenti o ex-dipendenti ha vissuto almeno uno degli episodi di discriminazione esaminati nell’indagine durante il loro impiego. Non sorprende quindi che circa un terzo delle persone intervistate, sia occupate che ex-occupate, abbia segnalato di aver vissuto un clima ostile o aggressioni nel loro ambiente di lavoro.
L’indagine dell’Istat e dell’UNAR fornisce una visione dettagliata delle sfide che le persone LGBT+ affrontano nel mondo del lavoro in Italia. Mentre la legislazione contro la discriminazione è presente, è evidente che c’è ancora molto da fare per garantire un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso per tutti. L’identificazione e la comprensione di queste sfide rappresentano un passo cruciale verso la creazione di un futuro più equo e accogliente per la comunità LGBT+ nel contesto lavorativo italiano.